Giannone, Pietro (1676-1748)

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Pietro Giannone

 

Lo storico e filosofo Pietro Giannone, nato da una famiglia di avvocati ad Ischitella, in provincia di Foggia, il 7 maggio 1676, studiò dapprima sotto lo zio materno, il giurista Gaetano Argento (1661-1730), ed in seguito, all'età di 18 anni, si trasferì a Napoli, dove si laureò in giurisprudenza. Nella capitale campana egli entrò in contatto con l'entourage filosofico napoletano, il cui riferimento era all'epoca Giambattista Vico (1668-1744). Qui egli s'interessò alle idee di Cartesio (1596-1650) e di Nicholas Malebranche (1638-1715).

Oltre agli interessi filosofici, G. si dedicò intensamente agli studi storici e soprattutto alla sua opera principale, la cui stesura durò 20 anni, Dell'istoria civile del regno di Napoli, pubblicato in quattro volumi nel 1723 ed altamente apprezzato in Inghilterra, Francia e Germania, dove il libro fu tradotto e ripetutamente pubblicato. In questo lavoro G. descrisse la situazione morale e giuridica del regno napoletano, attribuendo i suoi mali e malesseri all'influenza negativa e alle interferenze della Chiesa, in particolare della Curia romana.

La reazione ecclesiastica fu immediata e durissima: il libro fu iscritto all'Index librorum prohibitorum e l'autore fu scomunicato: G. dovette lasciare Napoli, in mezzo ad una folla ostile e vociferante, e riparare a Vienna, dove entrò nei favori dell'imperatore Carlo VI (1711-1740) e di altri importanti personaggi della corte imperiale, i quali si diedero da fare per procurargli una pensione cosicché egli potesse proseguire senza problemi nei suoi studi storici e filosofici.

Fu perfino riammesso alla Chiesa cattolica da parte dell'arcivescovo di Napoli, in visita a Vienna, ma nel 1734, in occasione dell'elezione di Carlo VII di Borbone a re di Napoli (1734-1759), si cercò di indurlo a rientrare a Napoli togliendogli la pensione. Egli, infatti, tentò il ritorno in patria, ma l'ostilità della Chiesa lo costrinse a riparare a Venezia. Qui G. fu accolto positivamente e gli furono perfino offerti una cattedra alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Padova e il posto di consulente in legge della Serenissima Repubblica: tuttavia ambedue furono da lui rifiutati. Poco dopo, il governo veneziano, sospettando che le sue idee sul diritto marittimo non fossero in linea con la politica estera della Repubblica, lo fece controllare da vicino da una rete di spie. G. cercò d'ingraziarsi il governo con il trattato Lettera intorno al dominio del mare Adriatico, ma il 23 settembre 1735 fu espulso.

Vagò allora, sotto mentite spoglie, tra Ferrara, Modena, Milano e Torino, finché, tre mesi dopo, arrivò a Ginevra, ospite di un libraio della città. E qui compose il suo principale lavoro filosofico, con un forte connotato anticlericale, il Triregno, ossia del regno, della terra e del papa (inedito fino al 1895), una filosofia della religione, fondamento del regno terreno degli antichi, base del regno celeste del Cristianesimo, per essere poi rovinata dal regno papale.

Ma, il 1 aprile 1736, giorno di Pasqua, G. ebbe la fatale idea di accettare l'invito a partecipare alla messa di Pasqua in un villaggio cattolico della Savoia: era una trappola. Fu infatti catturato da emissari del governo Sabaudo e internato, nell'ordine, nei castelli di Miolans, di Ceva, ed infine di Torino, dove rimase in prigione per i rimanenti 12 anni della sua vita.

Nella fortezza di Torino G. non perse in ogni caso lo spirito polemico anticlericale, scrivendo un trattato in difesa degli interessi del regno sabaudo contro gli intrighi papali, tuttavia nel 1738 fu costretto a firmare un atto d'abiura delle sue idee più estremiste. Questo gesto però non gli fece guadagnare la libertà ed egli morì il 7 marzo 1748, all'età di 72 anni, sempre nella fortezza-carcere di Torino.

La maggior parte dei suoi lavori inediti, come l'Autobiografia, I discorsi storici e politici sopra gli Annali di Tito Livio, l'Apologia de' teologi scolastici, l'Istoria del pontificato di Gregorio Magno, l'Ape ingegnosa, fu pubblicata postuma.