Manelfi, Pietro (ca. 1519-dopo 1552)

Pietro Manelfi (detto anche Pietro della Marca) nacque nel 1519 circa a San Vito di Senigallia, nelle Marche. Fattosi sacerdote, M. fu però convertito dapprima al luteranesimo e poi, nel 1540, all'anabattismo da Tiziano (capo storico dell'anabattismo veneto, di cui si conosce solo il nome di battesimo, da non confondere con il valdesiano Lorenzo Tizzano) e da Fra Hieronimo Spinazzola. Fu ribattezzato a Ferrara e compì in seguito un'intensa attività di proselitismo come ministro anabattista in Triveneto, Lombardia, Emilia, Romagna, Toscana e Istria, diventando uomo di punta dell'organizzazione anabattista veneta.

Nel Settembre 1550, M. partecipò ad un vero e proprio concilio anabattista a Venezia, dove egli annotò le conclusioni finali alquanto radicali per l'epoca: negazione della natura divina di Cristo, degli angeli, dell'inferno, ma soprattutto un rifiuto del concetto cattolico di giustificazione mediante le opere, ma anche di quello protestante di giustificazione per fede, il tutto sostituito da un'imperscrutabilità divina.

Tuttavia, dopo anni di militanza anabattista, il 17 ottobre 1551 M. si presentò spontaneamente all'inquisitore di Bologna, il domenicano Leandro Alberti (o de Albertis) (1479-ca.1552), avendo preso la decisione di abiurare e di denunciare tutti gli anabattisti e luterani da lui conosciuti. L'occasione per l'Inquisizione era quanto mai ghiotta per assestare un colpo mortale all'organizzazione anabattista italiana: M. fu trasferito a Roma e durante gli interrogatori (riprodotti nel libro I costituiti di don Pietro Manelfi di Carlo Ginzburg) del novembre 1551 fornì tali e tante notizie da scatenare una repressione senza pari dell'anabattismo e dell'evangelismo italiano, i cui pesanti effetti si sentirono per anni.

Inquisiti, vittime o esiliati famosi, in seguito alle sue rivelazioni, furono, tra gli altri, Giulio Gherlandi, Francesco Della Sega, Antonio Rizzetto, Bartolomeo Panciatichi, Pier Paolo Vergerio, Ludovico Manna e Niccolò Buccella. Esaurito il suo compito di delazione, M. letteralmente scomparve dalla scena religiosa italiano (s'ignora, infatti, dove e quando sia morto), non prima comunque che l'Inquisizione gli assegnasse, nel maggio 1552, uno stipendio mensile di cinque ducati d'oro, per i servizi resi.