Patarini (XI secolo)

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Papa Alessandro II, al secolo Anselmo da Baggio, uno dei capi del movimento dei patarini

L'etimologia

L'etimologia di pataria deriva dalla parola milanese patee, stracci, che definisce forse i luoghi dove i patarini si riunivano, ma che poi ha definito, in maniera spregiativa, gli adepti come straccivendoli o addirittura come straccioni.

Inoltre alcuni autori tendono a fare una notevole confusione fonetica tra patari(ni) e catari, benché non ci siano affatto coincidenze dottrinali fra i due movimenti; altri, soprattutto autori anglosassoni, fanno erroneamente coincidere il movimento dei patarini con quello di bogomili della Bosnia e della Dalmazia.

Probabilmente la verità va ricercata nell'uso impreciso e propagandistico che alcuni cronisti cattolici dell'epoca facevano di termini come manichei o patarini, appioppati ad eretici del basso Medioevo, senza approfondire troppo le differenze teologiche.

La storia

La Pataria, il movimento dei patarini, prende origine dalla reazione del clero di base e della borghesia, ma anche dei ceti più umili di Milano nei confronti di un'alta casta ecclesiastica corrotta e simoniaca.

Le tensioni esplosero nel 1045 con l'elezione ad arcivescovo di Milano di Guido da Velate (1045-1071), successore di un personaggio, già molto discusso, come Ariberto da Intimiano (n. 967, arcivescovo: 1018-1045).

Quest'ultimo, un uomo molto potente ed influente, che aveva interpretato alla lettera il suo ruolo di feudatario, era stato il signore assoluto della città e di un vasto territorio che si estendeva sulla Lombardia, Piemonte, Liguria e parte dell'Emilia. Ariberto lottò tutta la vita per mantenere l'autonomia dall'impero, da una parte, ma anche per tenere soggiogati i valvassori, i nobili minori, dall'altra.

Fu la crescita d'importanza di questi ultimi, ma soprattutto della nascente borghesia, a creare una nuova esigenza di maggiore uguaglianza tra i ceti e di più onestà e moralità nel clero. Queste esigenze fecero sì che, alla morte di Ariberto nel 1045, il clero milanese proponesse all'imperatore Enrico III, detto il Nero (1017-1056), controllore delle elezioni vescovili dell'impero e perfino di quelle papali dell'epoca, quattro candidati, onesti e virtuosi: Anselmo da Baggio, Landolfo Cotta, Attone e Arialdo da Carimate, per la successione al seggio di arcivescovo di Milano.

Tuttavia, l'imperatore, disattendendo le aspettative dei milanesi e in contrasto con la tradizione di una nomina, di fatto, autonoma, decise appunto di nominare Guido da Velate, uomo corrotto e simoniaco, che portò il livello di reputazione dell'arcivescovado di Milano ai minimi storici. Grande scandalo, per esempio, suscitava la pratica, nota come nicolaismo e alquanto diffusa all'epoca di Guido, dei religiosi, che vivevano palesemente in concubinato con donne.

Come reazione a questa corruzione dilagante, si formò quindi il movimento riformatore dei p., che coinvolse, a vario titolo, tutti i candidati citati, ma che vide soprattutto emergere la figura di Sant'Arialdo da Carimate e, in tono minore, quella di Landolfo Cotta.

Per quanto concerne un altro dei capi storici del movimento, Anselmo da Baggio, l'imperatore cercò di spezzare l'unità dei p., nominandolo vescovo di Lucca e quindi allontanandolo da Milano: tuttavia Anselmo sarebbe poi diventato Papa Alessandro II (1061-1073) ed avrebbe ancora più autorevolmente appoggiato il suo ex movimento.

Nel frattempo, a Milano, Arialdo e Landolfo avevano incitato con successo la popolazione a rifiutare i sacramenti dai sacerdoti corrotti e nicolaiti, riportando di attualità un atteggiamento, che ricordava quello degli intransigenti del III e IV secolo: Novaziano, Melezio di Licopoli e Donato di Numidia.

La reazione dell'arcivescovo Guido non si fece attendere e, prendendo pretesto dagli  scontri armati fra opposte fazioni, esplosi il 10 maggio 1057 durante una processione, egli scomunicò sia Arialdo che Landolfo.

Tuttavia il papato stesso, uscito dallo sciagurato periodo di Papa Benedetto IX (l'unico che aveva regnato indegnamente per tre pontificati, nel 1032-1044, nel 1045 e nel 1047-1048) era percorso da correnti riformatrici, ad incominciare già da Papa San Leone IX (1049-1054), il quale aveva condannato il concubinato e simonia dei preti nel 1050.

Landolfo Cotta cercò di recarsi a Roma per perorare la causa dei p. presso Papa Stefano IX (1057-1058), ma fu intercettato presso Piacenza dai sicari dell'arcivescovo e quasi ucciso. Morì, invece, nel 1061 in seguito alle ferite inferte da un religioso, sicario prezzolato (sic!), in un'ulteriore imboscata nel 1058.

Allora, Arialdo stesso decise invocare l'aiuto di Stefano IX, ma fu solo il papa successivo, Niccolò II (1059-1061), ad inviare nel 1060 una delegazione, capitanata da Pier Damiani e da Anselmo da Baggio, allora vescovo di Lucca. Pier Damiani riuscì con un abile discorso a riportare temporaneamente la calma in città, ma le tensioni non erano certo sopite.

Nel 1061, in seguito alla morte di Landolfo Cotta, Arialdo associò al movimento Erlembaldo, fratello di Landolfo e nuovo capo militare dei p. Nello stesso anno era salito al trono di Pietro, Anselmo di Lucca, con il titolo di Papa Alessandro II, il quale consegnò nella primavera del 1066 ad Erlembaldo il vexillum Petri (il vessillo di S. Pietro) e due bolle pontificie di richiamo al clero milanese e di scomunica di Guido da Velate.  Tuttavia, in seguito ai durissimi scontri del 4 Giugno 1066, quando furono feriti sia Erlembaldo e Arialdo, che Guido stesso, quest'ultimo reagì lanciando l'interdizione su Milano, finché Arialdo fosse rimasto in città.

Era una trappola mortale, nella quale Arialdo purtroppo cadde: uscito dalla città venne tradito da un prete di S. Vittore all'Olmo, vicino a Milano, e catturato dalle guardie di Donna Oliva, nipote di Guido, che lo portarono per interrogarlo nel castello di Arona, sul Lago Maggiore.

Da qui Arialdo fu successivamente portato su un'isola del lago, dove, secondo il suo biografo Andrea di Strumi, egli fu torturato orrendamente da due chierici, i quali lo mutilarono delle orecchie, naso, occhi, mano destra, piedi, genitali e lingua, ed, una volta morto, lo gettarono nel lago, appesantito da alcuni massi. Era il 26 Giugno 1066.

L'anno seguente (1067) il corpo fu ritrovato, secondo la leggenda, intatto (cioè non ancora decomposto), e Arialdo fu proclamato santo da Alessandro II, che, nel contempo, aveva provveduto a scomunicare Guido da Velate.

Erlembaldo proseguì la lotta dei p. contro i partigiani di Guido, che riuscirono nel 1071, alla morte di quest'ultimo, a far eleggere arcivescovo Goffredo da Castiglione, al quale Erlembaldo contrappose Attone, subito riconosciuto dal nuovo papa, il famoso San Gregorio VII (1073-1085), che oltretutto scomunicò Goffredo nel 1075. Nei tumulti che ne seguirono Erlembaldo fu assassinato e, secondo alcuni autori, anch'egli, come Arialdo, fu in seguito, canonizzato.

Dopo la morte di Erlembaldo e successivamente di Gregorio VII nel 1085, la p. esaurì la sua forza riformatrice. Già nel 1089, Papa Urbano II (1088-1099) (quello della I crociata), diede un colpo mortale ad un punto irrinunciabile dei p. e dai papi, loro alleati, affermando, in altre parole, che i sacramenti impartiti da preti simoniaci o corrotti erano ugualmente validi.

La p. degenerò sempre più assumendo connotati manichei (forse da questo deriva la confusione con i catari) e finì per essere perfino perseguitata come setta eretica da Papa Lucio III (1181-1185) nel 1185.