Bruno, Giordano (1548-1600)

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Giordano Bruno

 

La gioventù

Il famoso filosofo Giordano Bruno (il nome di battesimo era Filippo, ma lo cambiò in Giordano quando entrò nell'ordine dei domenicani) nacque nel gennaio (o febbraio) 1548 a Nola, in provincia di Napoli, dal gentiluomo (dedito alla carriera militare) Giovanni Bruno e da Fraulissa (o Fraulisa) Savolino, modesta proprietaria terrena. A Nola B. frequentò il ginnasio locale e nel 1560 si trasferì allo Studio, un liceo di Napoli, dove studiò lettere, logica, dialettica e filosofia aristotelica [quest'ultima sotto l'agostiniano Fra Teofilo da Vairano (m. 1578)].

Nel 1565 B. entrò come novizio nel convento domenicano di San Domenico Maggiore, dove il 16 giugno 1566 prese i voti, diventando professo. Come già detto, in quest'occasione egli prese il nome di fra Giordano. A San Domenico B. si fece notare per le sue capacità mnemoniche, tant'è che nel 1568-69 venne invitato a Roma da Papa Pio V (1566-1572), al quale dedicò la sua prima opera (andata perduta) L'arca di Noé. Nel periodo 1568-72 egli proseguì i suoi studi di logica e filosofia e nel 1572 fu ordinato sacerdote. Nello stesso anno s'iscrisse al corso di Teologia presso lo Studio, dal quale uscì laureato nel luglio 1575.

In questo periodo B. coltivò la lettura di autori alquanto off-limits per un convento, come Raimondo Lullo (1235-1315), testi di cabala, neoplatonici come Plotino (205-270), Porfirio (ca. 233-305), Giamblico (ca. 245-ca. 325) e Proclo (ca. 410-485) fino a Nicola Cusano (1401-1464), del quale B. apprezzò il tentativo di conciliare tradizione magica neoplatonica e Cristianesimo, e al grande Erasmo da Rotterdam, con il quale condivise la critica alla Chiesa cattolica.

B. abbandona la tonaca

All'inizio del 1576 la crisi: trascinato in un violento battibecco con un confratello, B. fu accusato di arianesimo e di antitrinitarismo, ma egli non attese il processo a suo carico, preferendo invece fuggire a Roma, presso il convento di Santa Maria sopra Minerva, dove però, alla fine del marzo 1576, si mise ancora nei guai, essendo stato accusato di aver provocato la morte di un frate domenicano, testimone nel suo processo napoletano.

B. allora prese la decisione di gettare la tonaca e dirigersi verso il nord Italia, a Genova, Noli, Savona, Torino e Venezia, dove venne pubblicato un'altra sua opera perduta, il trattato astrologico De' segni de' tempi. Nella vicina Padova si rivestì con la tonaca (probabilmente per puri motivi d'opportunità), recandosi a Brescia, Bergamo, Milano, ed infine a Chambery, nella Savoia, dove svernò nel 1578-79 per poi proseguire per Ginevra nella primavera 1579.

B. a Ginevra

Nella città svizzera, B. fu subito avvicinato dal marchese di Vico, Galeazzo Caracciolo, capo della comunità degli esuli religiosi italiani, che cercò di convincere B. a convertirsi alla religione calvinista, al cui credo pare che B. aderisse per un certo periodo. Tuttavia il soggiorno ginevrino fu guastato da un clamoroso incidente di percorso con il professore di filosofia dell'Accademia Antoine De la Faye (1540-1615), alle cui lezioni il filosofo nolano aveva assistito. In uno scritto polemico, B., vero esperto del pensiero aristotelico, contestò ben 20 errori commessi in una sola lezione da De la Faye, vera e propria imprudenza perché quest'ultimo, molto immanicato politicamente presso l'establishment calvinista, fece arrestare B. e il nostro poté cavarsela, il 27 agosto 1579, solo con un penoso atto di pentimento pubblico, seguito dalla distruzione pubblica, a cura del suo stesso autore, dello scritto polemico. Scontata l'umiliante pena, B. lasciò immediatamente Ginevra per Tolosa, in Francia, dopo essere transitato da Lione.

B. in Francia

A Tolosa B. rimase per circa venti mesi, divenendo lettore pubblico di filosofia e scrivendo un commento al Tractatus de sphaera mundi dell'astronomo agostiniano Johannes de Sacrobosco (1195-1256), ma fu costretto nel 1581 a lasciare Tolosa a causa della guerra civile tra cattolici e ugonotti e, mediante un viaggio avventuroso e pieno di pericoli, si recò a Parigi. Qui egli tenne un ciclo di trenta lezioni alla Sorbona sugli attributi divini secondo Tommaso d'Aquino (1221-1274), che suscitò l'ammirazione del re francese Enrico III (1574-1589), al quale B. dedicò il suo De umbris idearum, un testo di arte mnemotecnica, ispirata alle dottrine del francescano Raimondo Lullo (1235-1315). Il periodo molto favorevole per B. gli permise di poter scrivere e pubblicare diversi altri trattati di mnemotecnica, come Cantus circaeus e De compendiosa architectura et complemento artis Lullii, oltre alla commedia in lingua italiana Il candelaio.

B. in Inghilterra

Nell'aprile 1583, al seguito dell'ambasciatore Michel di Castelnau (1520-1592), signore di Mauvissière, B. si recò in Inghilterra, a Londra, dove, secondo lo storico John Bossy, svolse attività di spionaggio, sotto lo pseudonimo di Henry Fagot, al servizio di Sir Francis Walshingham (m.1590) proprio contro l'ambasciatore francese.

Comunque, a parte quest'episodio alquanto oscuro, in Inghilterra B. conobbe diversi personaggi famosi dell'epoca, come la stessa regina Elisabetta I (1558-1603), John Dee, il nobile polacco Albert Laski (m. 1605), nipote del riformatore Jan Laski, e il poeta Sir Philip Sidney (1554-1586), del quale divenne amico, dedicandogli la sua famosa opera Spaccio della bestia trionfante.

Pubblicò inoltre altre opere fondamentali come Ars reminiscendi, Explicatio tringinta sigillorum, Sigillus sigillorum, De la causa, principio et uno, De infinito, universo et mondi, La cabala del cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'asino cillenico e Degli eroici furori (anche quest'ultima dedicata a Sidney). B. si recò anche ad Oxford, dove però si scontrò con il teologo inglese, e futuro vescovo di Oxford, John Underhill (ca. 1545-1592) in un dibattito sulla filosofia aristotelica, degenerata ben presto in una rissa verbale. Nonostante l'incidente egli venne accettato come docente di filosofia, tuttavia non era destino egli rimanesse per troppo nella città universitaria: infatti alla terza sua lezione imperniata sulle teorie copernicane, venne tacciato di plagio nei confronti di Marsilio Ficino (1433-1499) e invitato ad andarsene.

Il filosofo nolano, offesissimo, lasciò Oxford per tornare a Londra, ma anche qui fu protagonista di un ennesimo episodio di scontro con i cattedratici inglesi. Infatti, durante una cena presso il nobile Sir Fulke Greville (1554-1628), il 15 febbraio 1584 (Mercoledì delle ceneri), egli entrò in polemica sulle sue idee sull'universo con due professori di Oxford, tali Torquato e Nundinio [pseudonimi probabilmente del medico George Turner (1565-1610) e del sopramenzionato John Underhill], A dir la verità, furono proprio questi ultimi a provocare la rissa: il tutto fu descritto in uno dei suoi più famosi libri La Cena delle ceneri, molto caustico nei confronti della realtà inglese del momento. La pubblicazione dell'opera provocò una tale reazione a catena (compresa la devastazione dell'ambasciata francese) da costringere B. a ritornare in Francia nell'ottobre 1585.

B. nuovamente in Francia

Ma in Francia la situazione politica era cambiata: la tensione tra cattolici e ugonotti era alle stelle e i Duchi cattolici di Guisa guidavano la Santa Unione, o Lega, opponendosi al re Enrico III, che aveva nominato suo erede al trono, nel 1584, il cognato protestante Enrico di Borbone. Da lì a poco il confronto sarebbe sfociato in tragedia con la fuga del re da Parigi nel maggio 1588, l'assassinio, su ordine del re, dei Duchi di Guisa nel dicembre 1588, e la morte del sovrano stesso, ucciso a sua volta dal pugnale di un fanatico domenicano, Jacques Clément, nell'agosto 1589.

B. rimase in Francia solo nove mesi, ma in questo periodo il suo spirito indomitamente polemico gli procurò altri guai in almeno due occasioni: quando insultò un protetto dei cattolici Guisa, il matematico salernitano Fabrizio Mordente, inventore del compasso differenziale, al quale dedicò il sarcastico dialogo Idiota triumphans seu de Mordentio inter geometras deo [il litigio era nato da una presentazione non molto lusinghiera di B. (Dialogi duo de Fabricii mordentis salernitani prope divina adinventione ad perfectam cosmimetria praxim) sull'invenzione del Mordente], e quando pubblicò l'opuscolo anti-aristotelico Centum et viginti articuli de natura ed mundo adversos peripateticos, suscitando la reazione risentita dei cattedratici francesi del Collège de Cambrai, anche se la paternità dell'opera fu prudentemente occultata come farina del sacco del suo principale allievo, Jean Hennequin.

B. in Germania e in Boemia

Nuova emigrazione dell'inquieto filosofo, questa volta in Germania, nel giugno 1586: dopo una veloce passata a Marburg (dove ebbe tempo di litigare con il rettore dell'università, Petrus Nigidius!), B. arrivò a Wittenberg nell'agosto 1586 e qui egli insegnò filosofia all'università per due anni e poté pubblicare diverse opere, come De lampada combinatoria lulliana, De progressu et lampada venatoria logicorum, Artificium perorandi, Animadvertiones circa lampadem lullianam e Lampas tringinta statuarum.

Ma nel 1588 egli decise di lasciare Wittenberg per le mutate condizioni religiose: infatti al luterano Augusto I, principe elettore di Sassonia (1541-1586), era succeduto il figlio Cristiano I (1586-1591), che aveva nominato suo cancelliere Nicholas Crell (o Krell), il cui pensiero religioso era allineato con la dottrina dei filippisti, seguaci di Philipp Melantone, cioè una forma di cripto-calvinismo con simpatie verso alcuni punti della dottrina di Giovanni Calvino.

Grazie al suo potere, Crell favorì la promozione di calvinisti a posizioni di rilievo e prestigio: la perdita dei riferimenti luterani accelerò la decisione del nolano di abbandonare Wittenberg, dopo una dotta orazione d'addio (Oratio valedictoria) pronunciato l'8 marzo 1588 davanti ai professori e studenti della locale università.

Si recò allora a Praga, dove fece pubblicare i suoi Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos, dedicati all'imperatore Rodolfo II (1576-1612). Questi donò a B. una borsa di 300 talleri, ma non un incarico all'università al quale il filosofo ambiva, ragione per cui B. decise di emigrare nuovamente, questa volta ad Helmstadt, nel ducato del Braunschweig (Brunswick), dove poté insegnare, dal gennaio 1589, come libero docente all'Accademia Giulia, fondata dal duca Julius von Braunschweig-Wolfenbuttel (1568-1589), alla morte del quale B. scrisse la Oratio consolatoria. Almeno formalmente egli aderì, in questo periodo, al luteranesimo, ma ciò non impedì al sovrintendente della locale Chiesa luterana Gilbert Voët (da non confondere con il teologo olandese calvinista Gisbert Voët) di scomunicarlo, ufficialmente per filo-calvinismo, ma più probabilmente per espressioni ingiuriose che B. aveva pronunciato contro il pastore stesso.

La scomunica luterana (quindi, dopo quella cattolica e calvinista, anche l'ultima delle tre maggiori confessioni cristiane occidentali lo aveva scomunicato!) non impedì a B. di continuare a vivere a Helmstadt, anche per la benevolenza del nuovo duca Heinrich Julius (1589-1613), fino alla primavera 1590 e di concepire qui i suoi trattati sulla magia, come De magia, Theses de magia, De rerum principiis et elementis et causis, Medicina lulliana e De magia mathematica.

Il 2 giugno 1590 B. giunse a Francoforte, ma la richiesta di un permesso di soggiorno fu respinta dal senato della città, e quindi il filosofo alloggiò provvisoriamente presso un convento di carmelitani. Riuscì comunque a pubblicare la sua importante trilogia di trattati filosofici in latino (De triplice minimo et mensura, De monade, numero et figura e De innumerabilis, immenso et infigurabili seu de universo et mundis), dedicati al duca Heinrich Julius, e, dopo aver passato l'inverno a Zurigo come docente privato di filosofia, rientrò a Francoforte nella primavera 1591 per curare la pubblicazione del De imaginum, signorum et idearum compositione, una rivisitazione dei suoi testi sulla mnemotecnica. Nella città tedesca egli fu raggiunto dalla lettera del nobile veneziano Giovanni Mocenigo, che lo invitava a recarsi a Venezia per insegnare l'arte della memoria. B. accettò e nell'agosto 1591 partì alla volta dell'Italia.

B. ritorna in Italia

Perché il più volte scomunicato B. abbia accettato di rientrare in Italia è stato oggetto di approfondite analisi di critici e storici e varie sono le ipotesi formulate:

  • A livello europeo, B. era oramai isolato ed era stato scomunicato ripetutamente, mentre, d'altra parte, Venezia era nota per una certa autonomia ed indipendenza decisionale nei confronti del potere papale.

  • Il Mocenigo aveva offerto denaro e ospitalità per ricevere lezioni sull'arte mnemotecnica (anche se il suo principale intendimento era di essere iniziato alle arti occulte), e gli estimatori generosi di B. non erano poi così numerosi.

  • Nella vicina Padova era vacante la prestigiosa cattedra di matematica e le esperienze di Oxford, Praga e Francoforte avevano mostrato a B. come era difficile vivere senza una rendita fissa.

  • Ma alcuni autori ipotizzano che B. si sentisse addirittura investito di una missione: realizzare in sostanza la nuova visione dell'uomo in senso panteistico e magico e finalmente mondato dal dogmatismo e dall'intolleranza della Chiesa.

Comunque nell'agosto 1591 B. giunse a Venezia, e dopo tre mesi si recò a Padova, dove cercò inutilmente di ottenere la cattedra di matematica e dove, con l'aiuto del suo discepolo Jerome Besler (1566-1632), scrisse il De vinculis in genere e Lampas triginta statuarum.

Ritornato a Venezia, B. snobbò e trascurò il lavoro di precettore del Mocenigo, un nobile sì ma di scarsa cultura, che, come già detto, era probabilmente più interessato alle arti occulte che a quelle mnemotecniche. Deluso e sentendosi truffato, Mocenigo, dopo aver raccolto delle informazioni sul suo conto presso un corrispondente a Francoforte, fece arrestare B. la notte del 22 maggio 1592 e lo consegnò all'Inquisizione con l'accusa di eresia e blasfemia.

Nei due mesi successivi B. venne sottoposto a 7 interrogatori (o costituti), al termine dei quali B. chiese di abiurare e di essere perdonato e i giudici veneziani sembravano perfino favorevoli a questa soluzione.

B. a Roma: il processo e la morte

Tuttavia il Sant'Uffizio romano chiese a gran voce, il 12 settembre, la sua estradizione: questo primo tentativo fu respinto dai giudici veneziani, ma nulla essi poterono contro una seconda richiesta, motivata dal fatto che B. comunque non era cittadino veneziano. Il 27 febbraio 1593 B. fu dunque trasferito a Roma ed incarcerato nel palazzo del Sant'Uffizio. I successivi 7 anni si trascinarono in interminabili interrogatori (e probabili torture, soprattutto dal 1597) da parte di una Congregazione composta da sette cardinali e otto teologi, che dovettero anche studiare le sue innumerevoli opere.

Nel 1597, anno del rogo di Francesco Pucci e della condanna di Tommaso Campanella, detenuti nella stessa prigione di B., nel processo di quest'ultimo subentrò il cardinale gesuita Roberto Bellarmino (1542-1621) (futuro persecutore di Galileo Galilei e del Campanella), il quale nel 1599 enucleò le seguenti otto proposizioni di B. ritenute eretiche dalla Chiesa:

  • L'anima mundi e la materia prima sono i due principi eterni delle cose,

  • Da una causa infinita deve derivare un infinito effetto,

  • Non esiste l'anima individuale,

  • Nulla si crea e nulla si distrugge,

  • La Terra si muove,

  • Gli astri sono angeli ed esseri animati,

  • La Terra è dotata di un'anima sensitiva e razionale,

  • L'anima non è la forma del corpo dell'uomo.

Dal 18 gennaio 1599 tra B. e gli inquisitori iniziò una complessa partita di scacchi, basata su accuse, ripensamenti, colpi di scena e quant'altro. Inizialmente gli fu richiesto ufficialmente di abiurare: egli cercò dapprima di prendere tempo, e perfino cedette in febbraio per poi inviare un memoriale difensivo in aprile. Si pensò di utilizzare nuovamente la tortura, quando, il 10 settembre, egli dichiarò di volersi sottomettere alla Chiesa, salvo poi rimettere in discussione solo una settimana dopo. Ma la situazione precipitò dopo la denuncia di un anonimo che il principale bersaglio della sua opera Lo spaccio de la bestia trionfante fosse il papa.

L'irrigidimento di ambedue le posizioni portarono infine alla inevitabile condanna a morte di B. l'8 febbraio 1600 ed in quella occasione egli pronunciò la famosa frase: Forse con maggiore timore pronunciate contro di me la sentenza, di quanto ne provi io nel riceverla.

La mattina del 17 febbraio 1600 egli venne condotto a Campo dei Fiori, dove venne spogliato dei vestiti, fu issato sul rogo, gli fu impedito di parlare con una mordacchia in legno e infine fu bruciato vivo, in quanto impenitente (quelli che si pentivano venivano strozzati prima del rogo).

300 anni dopo, il 9 giugno 1899, nonostante fortissime resistenze cattoliche, venne inaugurato il monumento a lui dedicato in Campo dei Fiori: fu un'occasione di riunione delle anime anticlericali dell'Italia umbertina, massoni, repubblicani, radicali, positivisti, tutti debitori di questo martire del libero pensiero filosofico e scientifico. Alla base del monumento ci sono gli effigi di altri "martiri del libero pensiero" come Giulio Cesare Vanini, Aonio Paleario, Miguel Serveto, John Wycliffe, Jan Hus, Tommaso Campanella, Petrus Ramus (erroneamente descritto in alcune guide come Erasmo da Rotterdam) e Fra Paolo Sarpi (1552-1625).

Il pensiero

Il complesso pensiero di B. è stato per molti anni circoscritto all'ambito ermetico, un po' equivocando sul termine di "mago" e molto grazie ai lavori della studiosa inglese Francis Yates. Riscoperto recentemente, il pensiero di B. è una miscela di filosofia antiaristotelica, magia naturale (la magia divina, in contrasto con la magia diabolica), religione naturale, mnemotecnica e panpsichismo (il mondo è vivo e sensibile, come anche per Bernardino Telesio e Tommaso Campanella).

L'universo aristotelico finito e diviso in sfere celesti stava stretto a B., che contrapponeva un universo infinito e unico. Secondo B., la natura animata del mondo (anima mundi), secondo un concetto tipicamente neoplatonico, presenta due aspetti: la forma e la materia. La forma è l'anima universale e la sua principale facoltà, l'intelletto, muove la materia (materia prima) dall'interno.

E' quindi logico che egli si appassionasse alle teorie astronomiche di Niccolò Copernico (1473-1543), sebbene non fosse tanto la loro portata scientifica che lo interessava, bensì le speculazioni filosofiche che ne potevano derivare: l'infinito superava perfino il concetto copernicano di eliocentrismo e univa tutto, anche gli opposti, che, nell'unità dell'infinito, coincidevano l'uno nell'altro, un concetto caro ad un autore molto amato da B., cioè Nicola Cusano.

L'attacco ai metodi lenti e metodici della scolastica aristotelica  B. lo portò sviluppando l'arte della mnemotecnica, una tecnica rapida e quasi "magica" per impossessarsi del sapere. E questo sapere se ne impossessa l'eroico e furioso ricercatore della verità, che ubbidisce solamente all'istinto della razionalità nella sua cerca della vera conoscenza, cioè il concetto del principio unico, da cui generano tutte le specie e tutti i numeri. Quindi la religione propugnata da B. è una religione razionale o naturale, privo di quel dogmatismo, intransigenza, ignoranza, ipocrisia, fede cieca ed inconsapevole, tipici delle confessioni cristiane dell'epoca, che l'avevano perseguitato per tutta la sua vita e che, alla fine, l'avevano portato sul rogo.