Celestio fu un uomo di legge di origini nobili, probabilmente nato in Italia, diventato amico di Pelagio durante il suo soggiorno a Roma. Assieme a Pelagio, C. si rifugiò in Nord Africa in seguito all'invasione e sacco di Roma da parte dei Goti di Alarico nel 410. I due si recarono dapprima ad Ippona, in Nord Africa, e poi a Cartagine, dove rielaborarono la dottrina del pelagianismo.
Successivamente, Pelagio si trasferì in Palestina, mentre C., rimasto in Nord Africa, tentò di diventare presbitero a Cartagine, ma una denuncia, proveniente dal diacono di Milano, Paolino, fece sì che non solo C. non riuscisse nel suo intento, ma fosse oltretutto condannato dal sinodo di Cartagine nel 411 per le sue dottrine. In un primo momento C. dichiarò la sua intenzione di appellarsi al papa, ma vi rinunciò successivamente e si recò ad Efeso, in Asia Minore, dove diventò prete.
C. seguì tutte le vicissitudini del pelagianismo degli anni successivi fino alla scomunica comminata a lui ad a Pelagio dai sinodi di Cartagine e di Milevi del 416 e confermata nel 417 da Papa Innocenzo I (401-417). In seguito a questa condanna, C. fu espulso da Costantinopoli, dove si era trasferito da Efeso, per ordine del vescovo Attico. Si recò quindi a Roma per incontrare il nuovo Papa Zozimo (417-418) e spiegare la propria dottrina: proprio in quegli anni egli aveva pubblicato il suo libro De libero arbitrio, nel quale i toni pelagiani erano stati ammorbiditi con aperture, più che altro formali, verso le posizioni di Sant'Agostino.
Nell'incontro, C. riuscì abilmente a convincere Zozimo dell'ortodossia del pelagianismo e quest'ultimo lo prosciolse da ogni accusa, anzi addirittura censurò Sant'Agostino e i vescovi africani per la frettolosità delle loro decisioni.
Successivamente, Zozimo corresse il tiro, dando ai vescovi il tempo per portare, davanti a lui, le prove dell'eresia pelagiana. Per ottemperare a questa disposizione papale, fu convocato il sinodo di Cartagine del 418, dove, alla presenza di 200 vescovi, furono stabiliti otto (o nove) dogmi, che confutavano il pelagianismo, riaffermando il peccato originale, il battesimo degli infanti, l'importanza della grazia divina ed il ruolo dei santi. Tutti questi dogmi, avvallati da papa Zozimo, sono poi diventati articoli di fede per la Chiesa Cattolica.
Inoltre, in seguito al sinodo di Cartagine, anche l'imperatore Onorio (395-423) scese in campo a fianco della Chiesa cattolica, emanando nel 418 un ordine d'espulsione dal territorio italiano per tutti i pelagiani e per coloro che non approvassero, controfirmandola, l'enciclica di condanna del pelagianismo Epistola tractoria, inviata da Zozimo a tutti i vescovi.
Furono costretti all'esilio C. e Giuliano vescovo di Eclano (vicino a Benevento in Campania). In particolare, C. fu espulso dall'Italia, dove era rientrato, per ben tre volte: nel 418, 421 e 425, rifugiandosi infine a Costantinopoli, dove nel 429, fu preso sotto la protezione, assieme agli altri pelagiani, del patriarca Nestorio. Tuttavia, anche quest'ultimo rifugio fu di breve durata: infatti nel 430 l'imperatore Teodosio II (408-450), influenzato dagli scritti anti-pelagiani di un tale Mario Mercatore, ordinò un'ennesima espulsione dei pelagiani e circa a quella data risalì la morte di C.