Bartolomeo Fonzio, nato a Venezia nel 1502, entrò da giovane nell'ordine dei francescani conventuali minori. Come predicatore di notevole cultura e preparazione, F. era dotato di un elevato carisma, ma proprio per questo si mise nei guai nel 1528, predicando concetti luterani nella chiesa di San Geremia, nella sua città natale e nel 1531 fu emesso l'ordine di arresto nei suoi confronti, ma, aiutato da alcuni nobili veneziani, riuscì a fuggire in Germania.
Soggiornò per diversi anni (almeno fino al 1535) in varie città tedesche: Augusta, Ulm, Norimberga, Basilea, Costanza e Strasburgo. Qui diventò collaboratore dell'ex domenicano Martin Butzer (Bucero), che F. cercò di aiutare nel difficile compito di mediare (Capitoli di Concordia) tra le due anime della Riforma: calvinismo e luteranesimo (il punto del contendere era l'interpretazione dottrinale sulla Santa Cena), ma dissentì per le condanne, pronunciate dal Bucero nel giugno 1533, contro gli anabattisti e Caspar von Schwenckfeld.
F. rientrò in Italia, a Venezia, nello stesso 1533, illudendosi che si potessero portare avanti delle riforme in un ambiente di riconciliazione tra cristiani. Allo scopo convocò delle riunioni in casa sua, dove discutere liberamente di questi concetti, ma nel 1537 venne denunciato all'Inquisizione. F. giocò d'anticipo recandosi a Roma da Papa Paolo III (1534-1549) che lo fece arrestare: tuttavia F. presentò a sua difesa una voluminosa documentazione, che convinse la commissione esaminatrice di teologi a proscioglierlo dell'accusa e a metterlo in libertà. Dal 1537 al 1541 visse all'Aquila e nell'abbazia di Farfa redasse un suo Catechismo.
Nel 1544 a Modena, egli partecipò attivamente alle discussioni dell'Accademia modenese, fondata dal medico e umanista Giovanni Grillenzoni, allievo di Pietro Pomponazzi. Assieme al tessitore bolognese Tommaso Bavellino (m. 1549), già condannato a Ferrara e Bologna, F. organizzò la propaganda luterana tra i cittadini di estrazione sociale più modesta, come mercanti, tessitori, venditori ambulanti, ma nell'autunno 1545 fu indetto a Ferrara un processo contro di lui per le sue dottrine.
Pensò bene di cambiare aria e, dopo un breve periodo a Roma (1546-1547) ed ad Ancona, si stabilì a Padova nel 1548. Nel 1551 si trasferì nella vicina Cittadella (dove era ancora vivo il ricordo della tragedia di Francesco Spiera), e qui soggiornò per sette anni come un apprezzato maestro di scuola, ma applicando le sue dottrine all'insegnamento della religione, richiamò l'attenzione dell'Inquisizione e fu nuovamente inquisito nel 1557.
Fuggì vagando attraverso città dell'Italia settentrionale, ma quando rientrò a Cittadella, fu arrestato il 27 maggio 1558 e condotto a Venezia, dove fu tenuto in carcere per quattro anni con 44 capi d'accusa. La sua estradizione, chiesta a gran voce dall'Inquisizione romana, fu negata dal Consiglio dei Dieci.
Probabilmente gli inquirenti veneziani speravano nella riconversione del F., ma, dopo quattro anni di interrogatori e dopo aver rifiutato più volte l'abiura, F. fu condannato a morte il 26 giugno 1562: egli sarebbe dovuto essere strangolato nel carcere ed il corpo essere bruciato in Piazza San Marco, ma, per ordine del Consiglio dei Dieci, che non desideravano un'azione punitiva così eclatante, fu deciso di giustiziarlo mediante annegamento, con una pietra legata ai piedi, nella laguna la notte del 4 agosto 1562.
Il suo testamento spirituale fu la Fidei et doctrinae Bartolomei Fontii ratio, 284 tesi in latino (rielaborate su un suo precedente testo del 1540) sulla predestinazione, la giustificazione sola fide, i sacramenti come segno di grazia, ma anche un disperato appello alla riunificazione universale tra cristiani e una speranza (disattesa) che il Concilio di Trento (1545-1563) potesse accogliere detto appello.