Don Primo Mazzolari nacque il 13 gennaio 1890 a Santa Maria del Boschetto, una frazione di Cremona, primogenito di Luigi Mazzolari e Grazia Bolli, una coppia di contadini. Completati gli studi elementari a Verolanuova (in provincia di Brescia), dove i genitori si erano trasferiti per trovare migliori condizioni di vita, nel 1902 il giovane Primo decise di entrare in seminario a Cremona. Qui egli rimase fino al 1912, anno in cui fu ordinato sacerdote a Verolanuova da monsignor Giacinto Gaggia (1847-1933), vescovo ausiliario di Brescia.
Il primo settembre 1912 M. fu mandato a Spinadesco (in provincia di Cremona) come vicario cooperatore, ma l’anno dopo, il 22 maggio, si trasferì alla sua parrocchia natale: anche qui trascorse un breve periodo, poiché, nell’autunno 1913 fu nominato professore di lettere nel ginnasio del seminario di Cremona.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, M. si offrì volontario e fu impiegato negli ospedali militari di Genova e Cremona, ed in seguito, nel 1918, su suo espresso desiderio, poté svolgere la missione di cappellano militare in prima linea sul fronte francese. Alla fine della guerra, continuò a prestare, in ogni caso, servizio per l’esercito nel recupero delle salme nella zona di Tolmino e al seguito dei soldati italiani, mandati in Alta Slesia per controllare la cessione forzata della regione dalla Germania alla Polonia.
Congedato nell’agosto 1920, M. non tornò al seminario di Cremona, ma fu assegnato dapprima (nel 1920-1921) come delegato vescovile nella parrocchia della SS Trinità di Bozzolo (in provincia di Mantova), poi (dal 1923) come parroco nella vicina Cicognara, dove rimase fino al 10 luglio 1932, quando, in seguito alla fusione delle due parrocchie, divenne parroco di Bozzolo.
Fiero oppositore del fascismo, M. ebbe i suoi guai col regime: dal rifiuto (per questo fu denunciato) di far cantare il Te Deum per il fallito attentato a Mussolini, all’attentato che lui stesso subì (gli furono sparati tre colpi di rivoltella, andati per fortuna a vuoto), il primo agosto 1931.
Anche la sua attività letteraria fu spesso ostacolata, a volte dal regime fascista, a volte dalla censura ecclesiastica: nel 1934 il Sant’Uffizio fece ritirare il suo libro La più bella avventura; nel 1941 le autorità fasciste censurarono Tempo di credere, non consono allo spirito dell’Italia in guerra (ma circolò in forma clandestina); nel 1943 il Sant’Uffizio biasimò Impegno di Cristo. Durante la Repubblica di Salò, M. fu arrestato per i suoi rapporti con la Resistenza dal Comando militare tedesco di Mantova: una volta liberato, preferì darsi alla clandestinità dapprima a Gambara, poi a Bozzolo (nascondendosi nella sua stessa casa, all’insaputa di tutti), per poi riemergere nel 1945, dopo la Liberazione.
Nel 1946 un ennesimo libro di M. Il compagno Cristo, Vangelo del reduce fu messo all’Indice e all’autore fu imposta una penitenza di cinque giorni di esercizi spirituali ed il divieto di celebrare la messa. Nel gennaio 1949 una novità editoriale del vulcanico sacerdote cremonese: la rivista quindicinale Adesso, che diede corpo ai temi a lui cari, come la difesa dei poveri, la denuncia delle ingiustizie sociali, il comunismo, la pace in un momento di guerra fredda. La rivista sopravvisse per due anni, poi nel febbraio 1951 le autorità ecclesiastiche ne ordinarono la chiusura e nel luglio dello stesso anno a M. fu imposto il divieto assoluto (questo diktat fu ripetuto nel 1954) di predicare fuori la sua parrocchia e di pubblicare ulteriori articoli senza il consenso preventivo delle autorità ecclesiastiche.
Solo alla fine degli anni ’50, M. fu “sdoganato” dalla Chiesa Cattolica: nel novembre 1957 l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini (1897-1978) (il futuro Papa Paolo VI: 1963-1978) lo chiamò a predicare alla Missione di Milano, ed il 5 febbraio 1959 M. fu ricevuto in udienza privata da Papa Giovanni XXIII (1958-1963).
Pochi mesi dopo, il 12 aprile 1959 M. morì nella casa di cura San Camillo di Cremona.