Milani Comparetti, Lorenzo Carlo Domenico (don Milani) (1923-1967)

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Don Milani

I primi anni

Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti nacque il 27 maggio 1923 a Firenze da una famiglia molto benestante e ricca di cultura: il padre Albano Milani era un chimico con buone velleità letterarie (poeta, filologo, filosofo, conoscitore di sei lingue). A sua volta, la madre, Alice Weiss proveniva da una colta famiglia triestina ebrea (di lontane origini boeme), con conoscenze tra i noti letterati che frequentavano la Trieste mitteleuropea di fine secolo, come Italo Svevo (1861-1928) e James Joyce (1882-1941). Il doppio cognome derivava da un bisnonno paterno, Domenico Comparetti (1835-1927), famoso filologo, conoscitore di ben 19 lingue e senatore del Regno d’Italia. Il giovane Lorenzo (secondogenito di tre fratelli) crebbe in un ambiente sostanzialmente agnostico: infatti, neppure la madre praticava la religione ebraica e i genitori si erano sposati nel 1919 con rito civile. Nel 1930 la famiglia Milani si trasferì a Milano, dove Lorenzo svolse tutto il suo ciclo di studi, completando il liceo classico nel 1941, ma, disattendendo le aspettative dei genitori, egli dichiarò la sua intenzione di diventare pittore e, a tal scopo, frequentò dapprima, per qualche mese nello stesso 1941, lo studio dell’artista tedesco Hans Joachim Staude (1904-1973), che lavorava e viveva a Firenze, e poi s’iscrisse all’Accademia di Brera di Milano. Dovette però seguire la famiglia nella primavera 1943 a Firenze a causa del bombardamento alleato di Milano.

La conversione

Improvvisamente, nel giugno 1943, la conversione stimolata dall’incontro con don Raffaele Bensi (1896-1985), che diventò il suo direttore spirituale. Poco dopo M. fu cresimato dal cardinale Elia Dalla Costa (1872-1961) e in novembre 1943 entrò nel seminario di Cestello in Oltrarno, contro il parere della famiglia. Il 13 luglio 1947 egli fu ordinato sacerdote, sempre dal cardinale Dalla Costa, e il 9 ottobre, dopo una brevissima esperienza nella parrocchia di Montespertoli, fu nominato cappellano a San Donato di Cadenzano, un borgo operaio nell’hinterland fiorentino, la cui parrocchia era retta da un vecchio prete, don Daniele Pugi.

L’attività a San Donato

Il territorio di San Donato era prevalentemente popolato da contadini e operai, per i quali M. predicava secondo una religiosità semplice alla portata dei suoi uditori. Inoltre, egli mise in piedi una scuola popolare per i giovani (ma non solo per quelli della parrocchia) e per i poveri, in cui venivano insegnate materie come italiano, storia, musica, filosofia, astronomia, medicina, attualità. Queste prime iniziative attirarono, tuttavia, le critiche dei benpensanti democristiani della zona.
Dopo le elezioni del 1948, M., deluso per le promesse non mantenute della Democrazia Cristiana, iniziò a criticarla sempre più apertamente, ma la crisi arrivò dopo il 15 luglio 1949, quando il Sant’Uffizio stabilì che i cattolici non potevano essere iscritti al partito comunista o professare idee comuniste, pena la scomunica immediata, e conseguentemente quando la Chiesa iniziò a raccomandare per quali candidati votare alle elezioni amministrative del 1951 e alle politiche del 1953. M. si attenne formalmente alle disposizioni della curia, indicando ai suoi parrocchiani di votare per la Democrazia Cristiana, ma fece di più, indicando ai cattolici di votare soprattutto sindacalisti, e invocando la libertà di voto per i non cattolici, anzi dichiarando esplicitamente “non restava al povero nessun motivo razionale per votare D.C.”.

L’esilio a Barbiana

La reazione non si fece attendere: nel dicembre 1954 (dopo la morte del parroco di San Donato, don Pugi) la curia per punizione dispose il trasferimento di M. come priore nella parrocchia di Sant’Andrea a Barbiana (di cui, peraltro, era già stata disposta la chiusura), nel comune di Vicchio del Mugello, sopra Firenze, un posto isolatissimo senza strade di collegamento, acqua o luce: una manciata di case sparse sul fianco della montagna. Tuttavia, anche qui, M. fondò una scuola per i ragazzi di montagna: la sua esperienza interessò molti intellettuali, tra cui Aldo Capitini (1899-1968).
Nel marzo 1958 fu concesso l’imprimatur per il suo libro Esperienze pastorali, ma le polemiche che ne seguirono fecero fare marcia indietro alla Curia: dopo due stroncature ad hoc su Settimana del clero e Civiltà cattolica, il Sant’Uffizio in dicembre ordinò il ritiro dal commercio del libro, vietandone ristampe o traduzioni. Non ebbe fortuna migliore il suo scritto Un muro di foglio e di incenso, che il direttore della rivista cattolica di sinistra Politica, Nicola Pistelli (m. 1963) non ebbe coraggio di pubblicare nel 1959.
L’anno successivo – 1960 - a M. comparvero i primi sintomi del tumore (un linfogranuloma maligno ai polmoni), che lo avrebbe portato alla morte.
Nel febbraio 1965, in risposta ad un’assemblea di cappellani militari, che avevano definito l’obiezione di coscienza come “espressione di viltà”, M. rispose con la Risposta ai cappellani militari, pubblicata sulla rivista comunista Rinascita il 6 marzo, difendendo il diritto di chiunque ad obiettare. La polemica che ne nacque rischiò di travolgere soprattutto M., che fu minacciato di sospensione a divinis dal vescovo di Firenze Ermenegildo Florit (1901-1985) e denunciato, insieme al vicedirettore della rivista Luca Pavolini (m. 1986), da alcuni ex combattenti, alla procura di Firenze per istigazione a delinquere e istigazione a militari a disobbedire alle leggi.
In primo grado, ambedue furono assolti: M., già gravemente ammalato, non poté assistere al processo, ma preparò una nota difensiva per i giudici. Nel processo d’appello saranno ambedue condannati, ma nel frattempo la morte di M. gli risparmiò la prigione.
Nel maggio 1967 i suoi allievi, sotto la sua supervisione, pubblicarono la celeberrima Lettera a una professoressa, una pesante denuncia contro la scuola classista, che ebbe uno straordinario successo all’estero, tradotto in svariate lingue.
M. morì il 26 giugno 1967 in casa della madre a Firenze, un mese dopo il suo 44° compleanno.