Scoto Eriugena (o Erigena), Giovanni (ca. 815- ca. 877)

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Giovanni Scoto Eriugena:

questa sua immagine č stata utilizzata su una banconota irlandese fino al 1993

Scoto Eriugena, filosofo, teologo e linguista, nacque in Irlanda nel 815 ca., entrò da giovane in un monastero e nel 847 si trasferì in Francia. Qui divenne maestro della scuola palatina a Laon durante il regno di Carlo il Calvo (843-877), re dei Franchi occidentali, che lo incaricò di tradurre le opere di Dionigi lo Pseudo-Aeropagita, teologo mistico d'ispirazione neoplatonica del VI secolo. S. era una delle persone più istruite del suo tempo, essendo fluente in Greco e Latino e avendo un'ottima conoscenza dei classici.

Nel 849 fu convocato da Incmaro vescovo di Reims il sinodo di Quiercy sur l'Oise per condannare le dottrine di Gotescalco (Gottschalk) di Fulda, monaco dell'abbazia di Orbais (nella diocesi di Soissons), il quale aveva dato particolare rilievo alla teoria della doppia predestinazione di Sant'Agostino. Gotescalco, riprendendo gli scritti di Agostino, era convinto che alcuni uomini sarebbero destinati alla salvezza ed altri alla dannazione, non per i loro meriti o colpe, ma per volontà divina e che quindi Cristo fosse venuto sulla terra solo per annunciare che non tutti gli uomini erano destinati alla perdizione.

Incmaro e Pardulo di Laon convinsero allora S. a scrivere nel 851 una confutazione delle tesi di Gotescalco, ma l'opera che ne uscì, il De praedestinatione, esagerò in senso opposto: poiché Dio era eterno, la predestinazione o la previsione erano la stessa cosa: Dio predestinava alla dannazione, perché prevedeva i peccati, e predestinava alla salvezza perché prevedeva i meriti. Inoltre la dannazione e l'inferno non esistevano, perciò tutti potevano salvarsi: una variante dell'apocatastasi, dottrina già condannata dal Concilio di Costantinopoli del 543. Per questo, S. fu accusato di pelagianesimo da parte di Prudenzio, vescovo di Troyes.

Nel 865-870 S. scrisse l'altra sua opera destinata a divenire famosa, il De divisione naturae, dove, secondo il filosofo, il mondo spazio-temporale era diviso, con un certo ordine razionale, in quattro parti:

  • Ciò che crea e non è creato, cioè Dio all'inizio del mondo

  • Ciò che crea ed è creato, cioè il mondo delle idee

  • Ciò che non crea ed è creato, cioè il mondo dei sensi

  • Ciò che non crea e non è creato, cioè Dio alla fine dei tempi.

Il tutto era basato sul desiderio di Dio di manifestarsi attraverso l'esistenza degli esseri. Questi tuttavia, dopo essere stati creati, avevano come loro principale desiderio il ritorno ad un'unione definitiva con Dio, punto finale d'ogni sviluppo.

S. intervenne anche nella diatriba sorta tra Pascasio Radberto e Ratramno sull'Eucarestia, dichiarando che la trasformazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo durante la messa era da intendersi in senso simbolico: dopo tutto il Corpo di Cristo veniva mangiato con la mente e non certo con i denti! Questo continuo ricorrere alla razionalità e le varie dottrine di S. erano sufficienti per incriminare chiunque (per es. le varie tesi di Gotescalco gli avevano procurato pubbliche fustigazioni), ma finché rimase al potere il gran protettore di S., cioè il re Carlo il Calvo, non gli accadde nulla di male.

Alla morte di Carlo nel 877, S. si rifugiò prudentemente in Inghilterra, presso la corte di Alfredo il Grande (871-899), re del Wessex (l'Inghilterra sudoccidentale), dove, si racconta, fu ucciso (addirittura a colpi di penne, usate come pugnali!) nello stesso 877 dai monaci dell'abbazia di Malmesbury (vicino a Bath), inferociti per i suoi scritti, a loro dire, eretici.

Circa 350 dopo la sua morte, nel 1225 al Concilio di Sens, convocato da Papa Onorio III (1216-1227), per condannare i seguaci di Amaury di Béne, un filosofo francese della fine del XII secolo, grande ammiratore di S., il De divisione naturae fu bruciato e S. stesso fu condannato postumo.