Alla fine del IX secolo, sotto l’incalzare dell’offensiva bizantina, l’effimero stato pauliciano crollò: la capitale Tephrike (l'odierno Divrigi, nella Turchia centrale), fondata nel 856, fu distrutta nel 872, e cento anni dopo, nel 970, durante il regno di Giovanni I Zimisce (968-975), i pauliciani superstiti, che ancora abitavano nell’impero bizantino, vennero definitivamente deportati in massa nella Tracia, come forza d'urto contro le invasioni dei Bulgari.
Tuttavia, il paulicianesimo sopravvisse in Armenia, sotto forma di una nuova setta: quella dei tondrakiani, dal nome del villaggio di Tondrak, a nord del lago Van, dove la setta si formò per opera di un certo Sembat (o Smbat) Zarehavantsi.
In quel periodo (885-1045), l’Armenia, sotto la dinastia dei Bagratidi, godeva di un periodo di fioritura delle arti (denominato “rinascimento armeno”) e di relativa indipendenza dagli ingombranti vicini: l’impero bizantino ed il califfato arabo degli abbasidi, sebbene il pericolo maggiore per la coesione del fragile paese derivasse dai problemi interni. Infatti, ben presto si formarono sette reami in perenne lotta fra loro, a cui si univa una certa turbolenza sociale, sotto forma di rivolte contadine, derivata dallo strapotere dei signorotti locali e della chiesa cristiana armena.
A queste rivolte parteciparono i t. (una delle loro caratteristiche era, per l’appunto, il rifiuto dell’autorità gerarchica), che si fecero notare nel regno di Syuniq, durante la rivolta dei villaggi di Tsourabert (o Tsuraberd), Tamalek e Aveladasht contro la decisione di assegnarli alle dipendenze del Monastero di Tatev nel 906. La lotta fu repressa dal principe Smbat (o Sembat) I (909-949), che riprese il controllo di Tamalek e Aveladasht, mentre la rivolta di Tsourabert per tutto il X secolo portò alla sua distruzione nel 998 da parte di re Vasak I (VIII) (998-1019).
Il fallimento della rivolta nel Syuniq non ebbe comunque particolare effetto sul movimento t., che man mano si estese ai regni e alle regioni armene di Vaspurakan, Mokk (Moxoene), Grande Armenia, Taron, Hark (il vescovo Hacob di questa regione fu accusato di simpatia verso la setta e degradato), Shirak, Turuberan, e Manamali, preoccupando non solo il regno armeno di Ani, ma anche i vicini mussulmani e bizantini: in particolare questi ultimi furono spietati nel reprimere la setta t. e deportarne i seguaci (come già i pauliciani) nella Tracia.
Eppure, anche dopo la conquista dell’Armenia da parte dei bizantini nel 1045, la rivolta t. mostrò un’insospettabile energia, facendo adepti anche presso la bassa aristocrazia e il clero. Solamente l’azione repressiva del governatore bizantino di Taron e Vaspurakan (nel sud del paese), Grigori Magistros pose fine alla setta dei t., distruggendo Tondrak, che egli definì sprezzantemente Shnavank, cioè “Monastero dei cani”.
La dottrina dei t. aveva molti punti in comune con il paulicianesimo, dal quale derivava, come un rapporto diretto con Dio, il disprezzo per il simbolo della Croce (a Kashi, per esempio, un gruppo di t., poi catturati e torturati, aveva distrutto la grande croce del villaggio), l’iconoclastia, il rifiuto dei sacramenti (matrimonio, eucaristia, confessione, battesimo), delle ordinazioni sacerdotali (si ordinavano l’un l’altro: evidente retaggio della cerimonia manichea del consolamentum) e dei rituali della chiesa cristiana armena [genuflessioni, muron (unzione sacra), celebrazione della domenica, cerimonia del madagh (sacrificio rituale di un animale, seguito da un pranzo diviso con i poveri)], oltre ad avere connotati più tipicamente sociali, come la lotta alla corruzione, alla ricchezza (con l’anelito a ritornare alla povertà dei tempi degli apostoli) e all’ambizione del clero, ed il rifiuto dell’autorità gerarchica, fatto quest’ultimo che non mancò di suscitare l’interesse di alcuni intellettuali dell’epoca, come Grigori Narekatsi (ca. 945-1003), autore di un sommario delle dottrine t., dal titolo Lettera all’abate di Kchaw a proposito della confutazione degli odiosi tondrakiani.