Il letterato e storico Benedetto Varchi nacque a Firenze nel 1503 da un'importante famiglia (il padre era notaio) originaria di Montevarchi. Dopo un breve periodo di apprendistato in bottega, V. fu mandato dal padre a scuola, dove primeggiò nello studio del latino. A 18 anni, si recò a Pisa per iscriversi alla facoltà di legge e, dopo la laurea, diventò notaio, subentrando al padre, morto nel 1524, ma ben presto abbandonò questo mestiere per dedicarsi alla letteratura, guadagnandosi nel frattempo da vivere facendo il segretario o il precettore per famiglie in vista dell'epoca. Inoltre si legò al partito degli anti-medicei, capitanata dalla famiglia Strozzi, ma la fallita ribellione del 1537 lo costrinse ad andare in esilio, dapprima a Padova, poi a Bologna nel 1540. Nella città felsinea, V. fu travolto da alcuni scandali e si trovò ben presto in gravi problemi economici: fu quindi lieto di accettare l'invito a rientrare a Firenze nel 1543 da parte di Cosimo I de' Medici (1537-1574), presso il quale intercedette positivamente il segretario del duca, Pier Francesco Riccio. Rientrato a Firenze, V. divenne un personaggio di spicco dell'ambiente letterario e religioso riformista della città.
Dal punto di vista letterario, V. fu molto eclettico: iscritto all'Accademia Fiorentina, egli mostrò la sua cultura enciclopedica con scritti di linguistica e critica dantesca (noto è il trattato L'Ercolano), estetica e arte figurativa, alchimia, botanica, divulgazione filosofica, una commedia (La suocera), nonché con un'abbondante produzione di centinaia di sonetti, non sempre di qualità letteraria eccelsa, ma molto indicativi per analizzare l'evolversi del suo credo religioso, come, ad esempio il sonetto (Donna, che, come chiaro a ciascun mostra .) del 1547/48, dedicato a Caterina Cybo, duchessa di Camerino, che esaltava Juan de Valdés, Vittoria Colonna e Pietro Bembo come cercatori fortunati sulla strada della salvezza eterna dell'anima. Infatti, come impegno religioso riformista, V. fu membro attivo dell'intellighenzia evangelica fiorentina, molto presente nell'Accademia Fiorentina, e tra cui si sono annoverati il letterato Pier Vettori (1499-1585), Bartolomeo Panchiatichi, Pier Francesco Riccio, Pietro Carnesecchi, Ludovico Manna e Marcantonio Flaminio.
Nel 1547 il duca Cosimo de' Medici lo incaricò di scrivere la Storia Fiorentina: l'opera, in sedici volumi, narrava la storia della città nel periodo 1527-38, cioè dalla ribellione fiorentina coincidente con la cacciata di Alessandro de' Medici (duca 1525-1527 e 1530-1537) fino alla salita al potere di Cosimo nel 1537 e al suo governo della città. A parte le evidenti intenzioni adulatorie dell'opera, il pregio stava soprattutto nella tecnica quasi giornalistica di raccogliere documenti e carte di archivio e di intervistare i testimoni diretti di quegli anni. Tra l'altro, convinto nella necessità di una Chiesa più autentica e meno sfarzosa e avida, V. poté prendersi la soddisfazione di bollare il famoso Sacco di Roma del 1527 con la convinzione che mai non fu gastigo né più crudele né più meritato.
Nel 1555 V. ricevette in dono da Cosimo I la villa della Topaia, a Castello, dove trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita. Nel 1565 una profonda crisi spirituale lo portò alla sorprendente decisione di diventare prete cattolico: il duca gli affidò allora la Pieve di Montevarchi, ma la morte, giunta nel dicembre dello stesso 1565, non gli permise di tornare al paese di origine della sua famiglia.