Arnaldo da Brescia (fine XI secolo- m. 1155)

Fare clic per visualizzare la foto

Edoardo Tabacchi: Monumento ad Arnaldo da Brescia (1882)

 

Nato a Brescia alla fine del XI secolo, Arnaldo studiò, secondo Otto di Freisingen, a Parigi sotto il celebre filosofo Pietro Abelardo dal 1115. Ritornato a Brescia intorno al 1130, A. entrò in convento per diventare un canonico regolare ed iniziare la sua carriera come predicatore itinerante.

In quel periodo, Brescia, come molte altre città, si stava evolvendo in municipalità e nello stesso tempo era forte in città l'insofferenza verso il clero corrotto e concubino, ma anche verso i potenti vescovi, veri signori della città, spesso simoniaci.

Del resto, era ancora vivo il ricordo del movimento dei patarini, che aveva raggiunto il suo apice nel 1059 , quando il vescovo di Brescia Adelmanno aveva applicato le decisioni di Papa Niccolò II (1059-1061) contro i preti, colpevoli di concubinato e simonia.

A., la cui ricerca di purezza, austerità e distacco dalle cose terrene erano noti, fu intristito per le condizioni del clero bresciano, che egli attribuì alle immense ricchezze accumulate dal vescovo e dei monasteri: egli pensò che l'unico modo per tornare ad una purezza cristiana era di costringere l'alto clero a spogliarsi di tutti i suoi averi. A., come già i patarini, era inoltre convinto che i sacramenti amministrati da un prete corrotto vanificavano il valore dei sacramenti stessi.

Nel 1138, il vescovo Maifredo, preoccupato per l'effetto delle prediche di A. in città, si recò a Roma per chiedere una condanna del predicatore da parte del Papa Innocenzo II (1130-1143) e questa fu pronunciata durante il Concilio Lateranense II del 1139. L'indignazione popolare, che ne seguì, tuttavia fu tale che venne impedito a Maifredo di ritornare alla sua sede, ma alla fine A. si decise ad accettare l'esilio in Francia, a fianco del suo maestro Abelardo. Qui, A. e Abelardo lottarono contro le accuse di Bernardo di Chiaravalle, il quale aveva fatto convocare il concilio di Sens del 1140 per confutare le 19 idee eretiche di Abelardo.

Il concilio condannò ambedue al confino perenne in un monastero, ma A., dopo un periodo presso il monastero di Santa Genoveffa di Parigi, fuggì in Svizzera, a Zurigo. Tuttavia Bernardo di Chiaravalle, che nella sua vita si dedicò con accanimento e costanza alla persecuzione del predicatore bresciano, riuscì a farlo mandare via sia da Zurigo, che dalla Boemia, dove si era rifugiato nel 1143 presso il legato pontificio, cardinale Guido di Città di Castello. Quest'ultimo, diventato Papa con il nome di Celestino II (1143-1144), riuscì a convincere A. a riconciliarsi con la Chiesa Cattolica, ma la prematura morte del papa nel marzo del 1144 fece sì che A. compisse questo passo solo nel 1145, dopo la parentesi di Papa Lucio II (1144-1145), recandosi a Viterbo dal nuovo papa, Eugenio III (1145-1153), dal quale si fece confessare e assolvere, previa la penitenza di compiere un pellegrinaggio ai santuari di Roma.

A Roma A. trovò una situazione molto tesa: il potere papale era in rotta con la cittadinanza, e questa, guidata dal patrizio Giordano Pierleoni, cercava di fondare un comune laico, sul modello di quelli dell'Italia settentrionale. La lotta era degenerata ed era fallito un assalto delle truppe guidate dal precedente papa in persona, Lucio II, che nel parapiglia era stato ucciso da una sassata alla testa.

A. sposò la tesi del popolo romano, diventando il vessillo della rivolta che scoppiò di nuovo, approfittando del fatto che Eugenio III aveva lasciato la città nel 1147 per recarsi in Francia a bandire la seconda Crociata. Eugenio tentò invano di rientrare a Roma e da Brescia scomunicò A., senza particolari conseguenze immediate, nel 1148. Tuttavia la repubblica a Roma resistette solo fino allo sviluppo del dissenso interno fomentato dalle diverse posizioni assunte, da una parte, da A. e un tale Wetzel (un tedesco in ottimi rapporti con gli imperatori Corrado III e Federico I Barbarossa), favorevoli ad un abbattimento del potere temporale del papa e, dall'altra, dagli altri autonomisti romani, non interessati ad una soluzione così radicale ed estrema.

Eugenio III riuscì, oltretutto, a compiere nel 1152 un'abile opera di diplomazia per riportare Federico Barbarossa sulle posizioni papali. I tempi erano maturi per un'azione decisa,  intrapresa da Papa Adriano IV (1154-1159), il quale, appena eletto, lanciò l'interdetto sulla città di Roma. Il senato romano, gettato nello sconforto dalla mossa papale, intese che il prezzo da pagare era la testa di A.: questi fu espulso nel 1155 e si rifugiò presso il visconte di Campagnatico. Tuttavia Federico Barbarossa si era impegnato con Adriano ad arrestare A. in cambio dell'incoronazione imperiale e quindi costrinse il visconte a consegnargli A.

L'imperatore, successivamente, inviò il prigioniero alla Curia romana, che, dopo un breve processo, lo mise a morte, nello stesso 1155, mediante impiccagione, seguita dal rogo del cadavere e dispersione delle ceneri nel Tevere. Quest'ultima azione fu decisa acciocché i seguaci di A., denominati arnaldisti o, secondo Giovanni di Salisbury, genericamente lombardi, non potessero trafugare la salma per farne oggetto di venerazione.

E' veramente difficile dire in che cosa consistesse l'eresia del povero A. Egli predicava contro l'abuso delle ricchezze del clero, tale e quale come il suo antagonista Bernardo di Chiaravalle. Forse il punto che condannò il predicatore bresciano fu il rifiuto del potere temporale del Papa e della Chiesa, vero ricettacolo, secondo lui, di simonia. L'idea di una Chiesa, che seguisse l'esempio di Gesù e dei primi apostoli, rimase comunque inalterata per tutto il medioevo ritornando ciclicamente con i riformatori ortodossi, come San Francesco d'Assisi e quelli eterodossi, come Valdo fino a giungere al gran movimento protestante del XVI secolo.