Sadoleto, Jacopo (1477-1547)

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Bartolomeo Cancellieri: Ritratto del cardinale Jacopo Sadoleto

(Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma)

La vita

Il cardinale umanista, fautore del dialogo con i protestanti, Jacopo Sadoleto, nacque a Modena il 12 luglio 1477 da una famiglia di giuristi. Destinato quindi agli studi legali, S. decise invece di dedicarsi a quelli classici e filosofici, guadagnando una gran reputazione presso l'Accademia Romana.

Nel 1503 fu nominato canonico di San Lorenzo in Damaso e nello stesso periodo divenne amico di Gian Pietro Carafa [il futuro Papa Paolo IV (1555-1559)] e di Pietro Bembo. Nel 1513, assieme a quest'ultimo fu nominato segretario di Papa Leone X (1513-1521), che il 24 aprile 1517 lo investì dell'incarico di vescovo di Carpentras, nel Delfinato, in Francia. Tuttavia S. gestì il suo vescovado a distanza, rimanendo a Roma durante il papato di Adriano VI (1522-1523) e, a maggior ragione, durante i primi anni di quello di Clemente VII (1523-1534), visto che anche Clemente lo aveva confermato come suo segretario.

Nell'aprile 1527 si trasferì alla sua diocesi, con una tempestiva decisione, giusto 20 giorni prima del Sacco di Roma, e rimase a Carpentras per nove anni. Rientrò a Roma nell'ottobre 1536, richiamato da Papa Paolo III (1534-1549), e il 22 dicembre dello stesso anno, fu nominato cardinale, assieme al Carafa e a Reginald Pole e con loro fece parte della commissione (presieduto dal cardinale Gaspare Contarini), che redasse il famoso "Consilium de emendanda ecclesia", il documento di riforma interna della Chiesa.

Tuttavia, nel 1537, S., disgustato dal nepotismo di Paolo III e deluso della mancata convocazione del Concilio a Mantova (sarebbe stato convocato a Trento solo otto anni più tardi), si ritirò nella sua diocesi. Il 17 giugno dello stesso anno, S. scrisse a Melantone, convinto della possibilità di dialogo tra le chiese cristiane e desideroso di allacciare un rapporto con il più disponibile tra i riformatori luterani al dialogo con i cattolici. La lettera fu denunciata dagli ambienti più conservatori del Vaticano come un vero atto di tradimento, e solamente un coraggioso vescovo (poi cardinale) Giovanni Morone scrisse a S. una lettera di solidarietà.

Nel 1539 egli fu coinvolto, come vescovo di Carpentras, in un tentativo organizzato insieme ai vescovi di Lione, Vienne, Losanna, Besançon, Torino e Langres per cercare di riportare al Cattolicesimo la città di Ginevra, che, in quel momento senza guida spirituale, dopo aver esiliato Farel e Calvino nel 1538, stava andando allo sbando. S. scrisse una lettera alla città, addossando tutta la colpa ai riformatori, e offrendo ai ginevrini il ritorno alla Chiesa Cattolica e alla sua tradizione secolare. I riformatori locali non seppero rispondere a tono, cosa che invece fece Calvino con la sua Responsio ad Sadoleti epistolam, in cui il riformatore fondava la vera Chiesa di Cristo sulla parola di Dio e non sulle tradizioni della Chiesa Cattolica. La risposta conquistò i ginevrini, che nel settembre 1541, pregarono Calvino di recarsi per la seconda volta a Ginevra, facendo sfumare definitivamente il tentativo di S.

Nel 1542 S. fu inviato in una delicata missione diplomatica di pace (poi fallita) tra il re di Francia, Francesco I (1515-1547) e l'imperatore Carlo V (1519-1556): sulla strada per il Nord Europa, S. passò da Siena ed ebbe quindi la possibilità di intervenire a favore di Aonio Paleario, inquisito in quei giorni per eresia.

Infine nel 1545 egli si batté presso il re di Francia Francesco I per i diritti dei profughi valdesi, accolti nella sua diocesi dopo la distruzione dei paesi di Mérindol e Cabrières d'Avignon, nelle montagne della Provenza, del 16-21 aprile 1544, dove migliaia di valdesi furono torturate, violentate o massacrate.

S. morì a Roma il 18 ottobre 1547.

Il pensiero e le opere

Di carattere irreprensibile e di pietà devota, S. meglio rappresentò la corrente semi-evangelista di riforma della Chiesa, e, non a caso, egli ammirava le opere di Erasmo (con cui ebbe un vasto carteggio) e di Melantone.

A parte i poemi e le orazioni latine, l'opera più significativa della produzione di S. per capirne il pensiero religioso fu il suo epistolario In Pauli epistolam ad Romanos del 1535, di vago sapore semipelagiano (sia la volontà dell'uomo che la Grazia divina sono entrambi importanti per la salvezza). Messo in guardia da Bembo e attaccato dal Maestro del Santo Palazzo, il cardinale Tommaso Badia (m. 1547), S. dovette ripubblicare una versione riveduta nel 1536.