Pomponio Algerio (o Algeri) nacque a Nola nel 1531 e studiò all'Università di Padova diritto civile con il professor Matteo Gribaldi Mofa: ma, a causa della fuga di quest'ultimo a Ginevra nel 1552, l'Inquisizione mise sotto indagine i suoi allievi per sospette simpatie protestanti.
In particolare A. fu arrestato nel maggio 1555 e interrogato ripetutamente per accertare l'ortodossia della sua fede. Pur non citando direttamente Lutero e Calvino, egli fece in ogni modo riferimento alla loro dottrina (sola fide, negazione del culto dei santi e del purgatorio, della transustanziazione durante l'Eucaristia, dell'autorità della chiesa di Roma).
I giudici di Padova non vollero condannare immediatamente il giovane, ma lo tennero in carcere con la speranza di farlo abiurare, tuttavia egli rimase saldo nella sua fede e ciò venne testimoniato da una lettera che egli riuscì a far pervenire, il 21 luglio 1555, dal carcere ai suoi confratelli.
L'Inquisizione romana tuttavia riuscì nel suo intento di fare estradare l'A. a Roma, dove dal aprile al giugno 1556, si concluse il suo processo con un terribile epilogo finale: la condanna ad essere bruciato vivo a fuoco lento in una caldaia piena di olio, pece e trementina.
La relativa sentenza fu eseguita in Piazza Navona il 19 agosto dello stesso anno.