Calvino, Giovanni  (Jean Cauvin) (1509-1564)

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Scuola svizzera del XVI secolo: Jean Cauvin

(Museo storico della Riforma, Ginevra)

La gioventù

Il famoso riformatore Jean Cauvin (nome umanistico Giovanni Calvino) nacque a Noyon in Piccardia (Francia) il 10 luglio 1509 da Gerard Cauvin e Jeanne Le Franc. Il padre, cancelliere, notaio apostolico ed in seguito procuratore del capitolo della cattedrale di Noyon, era uomo di fiducia del vescovo Charles de Hanguet, il quale procurò al giovane C. un beneficio (una rendita) nel 1521 e un secondo nel 1527.

Dapprima C. studiò a Noyon sviluppando una solida formazione umanistica, poi si trasferì con la famiglia nel 1523 a Parigi, dove frequentò il collegio de la Marche ed il collegio Montaigu, per studiare arti liberali e teologia. Ma nel 1528 C. abbandonò gli studi di teologia per iscriversi alla facoltà di legge dell'università di Orléans, e in seguito si trasferì a Bourges, all'università voluta da Margherita di Angoulême, sorella di Francesco I di Francia, diventata da poco regina di Navarra. Nel 1531 il padre Gerard, nel frattempo caduto in disgrazia e sotto scomunica per motivi di bilanci finanziari sospetti, morì e la famiglia dovette promettere di pagare i debiti per ottenerne la sepoltura in terra benedetta. C. ritornò a Parigi frequentando i corsi dell'Accademia (il Collège Royal de France) e pubblicando nel 1532 la sua prima opera, un commento a De Clementia di Seneca.

Intorno al 1533 C. iniziò a definirsi protestante: alcuni autori raccontano che la pietra miliare sia stata il discorso d'apertura per l'anno accademico, scritto per l'amico Nicolas Cop (c. 1450- dopo 1534), rettore dell'università, ed intriso di concetti luterani ed erasminiani. Il clamore suscitato dal contenuto del discorso, letto il giorno di Ognissanti 1533, ed una taglia sulle loro teste, obbligò ad una fuga precipitosa da Parigi il lettore, che riparò dal padre a Basilea, e l'autore, che si allontanò in direzione Orleans, travestito da vignaiolo con una zappa in spalla. Dopo varie peripezie (fu anche arrestato a Noyon per aver rinunciato ai suoi benefici, ma riuscì a fuggire), C. arrivò nel 1534 a Nerac, nel Bearn, da Margherita di Angoulême, dove incontrò il noto umanista Le Fèvre d'Étaples.

In seguito C. ritornò a Parigi, ma proprio nel momento sbagliato, vale a dire in piena campagna anti-protestante, scatenata dall'affissione di manifesti (placards) contro la Messa, posti perfino sulla porta della stanza da letto del re Francesco I. La reazione cattolica portò al rogo diversi protestanti, tra cui il noto uomo d'affari Étienne de la Forge, e C. riuscì, un po' avventurosamente, a scappare nuovamente dalla Francia per recarsi nel gennaio 1535 a Basilea.

Calvino in Svizzera

A Basilea C. lavorò alacremente al suo primo lavoro di notevole spessore: la Christianae religionis institutio, un compendio di dottrina cristiana scritto nel 1535 e pubblicato nel 1536 e con una prefazione indirizzata direttamente a Francesco I di Francia. Mentre veniva stampata la sua opera, C. si recò a Ferrara, sotto lo pseudonimo di Charles d'Espeville, alla corte di Renata d'Este, figlia di Luigi XII di Francia, e gran protettrice dei riformatori italiani, di cui C. diventò il direttore spirituale, e quindi in Francia per sistemare alcuni affari di famiglia (tra l'altro convertì due suoi fratelli). Decise infine nel luglio 1536 di recarsi a Strasburgo, ma, a causa delle operazioni militari dovuti alla guerra in corso tra Francesco I e l'imperatore Carlo V, egli dovette fare un giro lungo passando da Ginevra.

La città svizzera aveva da poco aderito alla Riforma grazie all'impegno dell'irruente predicatore Guillaume Farel, a cui non parve vero poter convincere l'autore della Christianae religionis institutio a rimanere. Ad essere precisi, C. non ne voleva proprio sapere, ma Farel minacciò che lo avrebbe addirittura maledetto, se non avesse accettato di restare! I due tentarono di installare un governo teocratico regolato dalle leggi stabilite nelle Ordonnances ecclésiastiques (Ordinanze ecclesiastiche), scritte da C. con l'aiuto di Farel: il controllo e la disciplina ecclesiastica erano demandati ai pastori, i bambini dovevano essere catechizzati, gli "indegni" espulsi dal territorio ginevrino. La reazione della città fu molto negativa e questo sistema poco tollerante, basato sulla censura morale e la scomunica, spinse il consiglio cittadino ad esiliare Farel e Calvino il 23 aprile 1538.

Farel si recò a Neuchâtel, mentre C., passando dapprima da Basilea, andò a Strasburgo, chiamato dai riformatori Martin Bucero e Wolfgang Capito (1478-1541) a dirigere la chiesa dei profughi francesi. Qui C. si sposò con Idelette de Bure, una vedova di un anabattista da lui convertito. Idelette, moglie molto devota al marito, gli diede nel 1542 un figlio, purtroppo morto quasi subito, e lei stessa morì nel 1549. A Strasburgo C. riesaminò e pubblicò, nel 1539 la versione in latino e nel 1541 quella in francese, la seconda edizione ampliata della sua Institutio, oltre ad alcune altre opere.

Nel frattempo a Ginevra la città senza guida spirituale stava andando allo sbando: ne cercò di approfittare il cardinale Jacopo Sadoleto, che scrisse una lettera alla città, addossando tutta la colpa ai riformatori, e offrendo ai ginevrini il ritorno alla Chiesa Cattolica e alla sua tradizione secolare. I riformatori locali non seppero rispondere a tono, cosa che invece fece C. con la sua Responsio ad Sadoleti epistolam, in cui C. fondava la vera Chiesa di Cristo sulla parola di Dio e non sulle tradizioni della Chiesa Cattolica. La risposta conquistò i ginevrini, che nel settembre 1541, pregarono C. di recarsi per la seconda volta a Ginevra.

Il ritorno di Calvino a Ginevra

Il ritorno di C. fu un ottimo pretesto per il riformatore per imporre al consiglio dei Duecento quelle Ordonnances ecclésiastiques fallite durante il suo primo soggiorno. C. credeva che quel controllo sulla moralità della popolazione, gestito per secoli dall'autorità ecclesiastica centralizzata (Papa, cardinali, vescovi, ecc.), dovesse essere operata da parte della chiesa locale. Se da una parte C. meritoriamente diede molto impulso alle attività commerciali e agli investimenti (i famosi banchieri di Ginevra), purtroppo, dall'altra, il suo sistema teocratico di rigido controllo della moralità aveva sicuramente poco del democratico:

  • I pastori, scelti da altri pastori, dovevano incontrarsi obbligatoriamente una volta al settimana per lo studio delle Sacre Scritture.

  • Gli insegnanti, o dottori, scelti dai pastori, erano responsabili per l'educazione generale e l'insegnamento delle Scritture.

  • I diaconi erano preposti all'assistenza dei poveri e dei malati.

  • Ma erano soprattutto gli anziani, in numero di dodici, la spina dorsale del sistema di C. Responsabili per la disciplina, dovevano sorvegliare sulla moralità della popolazione [furono proibiti i balli, i banchetti, il gioco d'azzardo (il poeta Clément Marot fu espulso per aver giocato a tric-trac), la lettura di parecchi libri (fu proibito perfino un libro popolare come Legenda aurea, un trattato sulle vite di santi e feste cristiane, scritto nel 1255-1266 da Giacomo della Voragine), le feste, gli spettacoli teatrali!], sull'abbigliamento (il lusso era proibito), sulla partecipazione obbligatoria alle funzioni religiose. Essi inoltre dovevano fare rapporto al concistoro o "Venerabile Compagnia" dei pastori e impedire che i peccatori, riconosciuti tali, potessero accostarsi alla Comunione.

  • Il concistoro, o "Venerabile Compagnia", formato dai dodici anziani e dai pastori, decideva su argomenti ecclesiastici ma spesso anche civili, pronunciava sentenze che comprendevano punizioni corporali, esclusione dalla Comunione, scomunica, condanna all'esilio (come successe a Sébastien Castellion e Jérome Bolsec) e nei casi estremi, condanna a morte (come nel 1547 Jacques Gouet, torturato e decapitato, o nel 1553 il famoso episodio di Miguel Serveto, di seguito descritto).

Dall'altra parte, il concistoro si contrapponeva spesso al consiglio dei Duecento, l'autorità civile di Ginevra, che non accettava pedissequamente tutte le sue sentenze, anzi queste ultime furono il pretesto di lotte cittadine al limite della guerra civile, come nel caso della moglie di Ami Perrin, capo dei partigiani di Farel, denominati guglielmini dal nome di battesimo del riformatore, e l'artefice del rientro di C. a Ginevra. Infatti nel 1547 il concistoro accusò e portò davanti al tribunale, per motivi di condotta morale, la moglie e il suocero di Perrin, proprio quando questi era capitano generale della città. La reazione del partito di Perrin non si fece attendere, scatenando una reazione xenofoba contro gli emigrati francesi, massicciamente presente in città e notoriamente amici di C., soprattutto quando, nel 1548, i guglielmini riuscirono ad ottenere la maggioranza nei consigli cittadini. Il braccio di ferro continuò nel 1553, quando Perrin, diventato sindaco della città, cercò di far riaccettare alla Comunione un tale Berthelier, un borghese scomunicato e ostile a C.: dovette desistere dal tentativo, ma con l'occasione il consiglio dei Duecento decise di togliere al concistoro il diritto di scomunica.

Ma proprio il 13 agosto di quel 1553 fu arrestato a Ginevra il famoso medico antitrinitariano Miguel Servet (nome umanista: Michele Serveto): C. aveva finalmente l'occasione d'oro per sbarazzarsi di un pericoloso dissidente religioso, che, libero, avrebbe potuto essere molto utile alla fazione di Perrin. Il processo si rivelò il pretesto per un'ennesima lotta tra calvinisti e oppositori interni, e perfino C. stesso dovette scendere in campo, coinvolgendo nel giudizio finale le chiese riformate di Zurigo, Berna, Basilea e Sciaffusa. L'epilogo fu la condanna al rogo di Serveto e dei suoi libri, eseguita il 27 ottobre 1553 nel rione di Champel. Il medico spagnolo morì con dignità sul rogo, avendo rifiutato anche l'estremo tentativo di Farel di salvargli la vita in extremis, se avesse ammesso per iscritto i suoi errori.

Le conseguenze dell'esecuzione di Serveto

Nell'anno successivo, il 1554, il partito favorevole a C. vinse le elezioni ma, benché lui stesso avesse sostenuto il diritto di uccidere gli eretici in un suo trattato, dal titolo Defensio ortodoxae fidei, il riformatore fu lungamente criticato ed attaccato per questa decisione ed anche la sua difesa scritta da Theodore de Béze non servì a risollevare la sua immagine.

La morte di Serveto infatti fece levare moltissime voci di protesta, tra cui quelle degli antitrinitariani italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi Mofa e Celio Secondo Curione, che dovettero emigrare successivamente da quella che a loro era sembrata la città della tolleranza religiosa. Anche l'umanista Sébastien Castellion, già mandato in esilio nel 1543, intervenne, scrivendo nel 1554, sotto lo pseudonimo di Martin Bellius, il suo libro più famoso, De haereticis, an sint persequendi (Gli eretici devono essere perseguiti?), un appassionato appello alla tolleranza ed alla libertà religiosa. La reazione fu coordinata, ancora una volta, da colui che sarebbe diventato l'erede spirituale di C., Theodore de Bèze, che nel suo scritto polemico De haereticis a civili magistratu puniendis denunciò la "carità diabolica, e non cristiana" di Castellion.

Gli ultimi anni

Un ultimo tentativo di colpo di mano degli oppositori interni fallì nel 1555 e ai rifugiati francesi, partigiani di C. fu concesso con generosità la cittadinanza: lo stesso C. la ottiene nel 1559. Si calcola che ad un certo punto la quasi totalità dei pastori fosse d'origine francese. Nel 1557 Ginevra e Berna strinsero un patto di alleanza e nel 1559 fu fondata l'Accademia di Ginevra (con rettore Theodore de Béze), che formò studenti in arti liberali, lingue bibliche e teologia, diventati, in alcuni casi, famosi riformatori nei loro paesi d'origine come John Knox in Scozia.

Anche l'attività internazionale di C. fu elevata: scrisse al giovane re inglese Edoardo VI (1547-1553) e al suo tutore, il conte di Somerset, per aiutarli nella revisione del Book of Common Prayer (il libro delle preghiere utilizzato dalla Chiesa Anglicana), tentò un'intermediazione tra le fazioni durante il sanguinoso regno cattolico della regina Maria d'Inghilterra (1553-1558), intervenne diverse volte durante l'introduzione della Riforma in Polonia. In sintesi il calvinismo ebbe, grazie questi interventi di C. oltre ad alcuni predicatori usciti dall'Accademia, un'internazionalità, che, per esempio, il luteranesimo non riuscì mai a raggiungere.

C. lavorò freneticamente fino al giorno della sua morte, predicando quotidianamente, tenendo lezioni di teologia, partecipando alle sedute del concistoro, scrivendo trattati, commentari e la stesura definitiva della sua Institutio, stampata in latino nel 1559 e in francese nel 1560. Consumato dall'attività vivace e non ben supportato da un fisico spesso malaticcio, C. morì, all'età di 55 anni, il 27 maggio 1564. Per sua espressa volontà, fu sepolto con la massima semplicità in un luogo sconosciuto, per impedire un possibile culto della sua tomba.

La dottrina

In linea di principio, C. accolse molti punti della dottrina luterana, come la sola scriptura (la fede trova il suo fondamento solamente nella Parola di Dio, la Sacra Scrittura) e la sola fide [l'uomo non può assolutamente concorrere alla propria salvezza: questa non dipende dall'agire umano o dalle sue opere (come, ad esempio le indulgenze), ma si ottiene solo con la fede], ma sostituì la sola gratia (per Sua grazia Dio magnanimo salva l'uomo peccatore attraverso Cristo) con la soli Deo gloria: l'ubbidienza alla volontà di Dio deve essere assoluta, perché Egli è sovrano di tutto il creato e determina il corso degli avvenimenti.

Da questo convincimento derivò la dottrina della predestinazione: Dio, grande ed eterna saggezza, misterioso quindi incomprensibile, ha stabilito che ad alcuni uomini è stata predestinata la vita eterna ed ad altri la dannazione eterna. Ed in particolare alla vita eterna era predestinata, secondo C., la comunità dei santi, di quei fedeli cioè che credevano come un atto di fiducia, che si comportavano rettamente, partecipavano alla vita pubblica, obbedivano alle autorità e desideravano di partecipare alla Santa Cena.

C. inoltre considerò, come Lutero, validi solo i sacramenti del Battesimo e dell'Eucaristia, che erano testimonianza della grazia di Dio, e non solamente cerimonie commemorative, come preteso da Zwingli. Per il Battesimo, con una certa difficoltà, C. riuscì a giustificare il battesimo dei fanciulli, in contrapposizione agli anabattisti e senza dover citare la tradizione storica ed il concetto del peccato originale, base della dottrina cattolica sul battesimo. Per C. le Scritture dicevano Lasciate che i fanciulli vengano a me, e quindi il negare il battesimo ai fanciulli sarebbe stato non riconoscere la misericordia di Dio e un'ingratitudine verso di Lui.

Per quanto riguardò, invece, il dibattito sull'effettiva presenza di Cristo nell'Eucaristia, C. considerò il Sacramento della Comunione come una reale partecipazione alla carne e al sangue di Gesù Cristo, anche se ciò non significava una presenza locale di Cristo nell'Eucaristia, poiché Egli poteva essere solo in cielo. Questa fu un'abile posizione intermedia tra la consustanziazione di Lutero (vi era la reale e sostanziale presenza del corpo e sangue di Cristo nel pane e vino, che tutti i comunicandi ricevevano, che fossero degni o indegni, credenti o miscredenti) e il simbolismo di Zwingli (la Cena del Signore era solo una solenne commemorazione della morte di Cristo, la sua presenza spirituale).

Ciononostante per motivi puramente politici (la posizione di C. a Ginevra era spesso fragile ed egli cercava quindi appoggi esterni), C. firmò il Consensus Tigurinus del 1549, dove non si faceva menzione del termine substantia, per assicurarsi l'aiuto di un prezioso alleato, come Heinrich Bullinger, successore di Zwingli a Zurigo.

Le opere

La base della produzione letteraria di C. fu, come già detto, la Christianae religionis institutio, su cui il riformatore lavorò per parecchi anni fino alla sua stesura definitiva nel 1559. Le Ordonnances ecclésiastiques (Ordinanze ecclesiastiche) nella versione del 1541 furono l'applicazione pratica della sua "chiesa visibile". Rimangono inoltre 4.271 lettere, principalmente su argomenti dottrinali.