Fullone, Pietro, vescovo di Antiochia (m. 488) e teopaschitismo

Pietro Fullone, un ex follatore di tessuti, da cui il nome, intorno alla metà del V secolo, abbandonò la professione, entrando come monaco nel monastero di Acemeti, in Calcedonia. Qui venne a contatto, aderì alle dottrine monofisite e per questo motivo fu espulso. Recatosi a Costantinopoli, fu nominato nel 470 vescovo di Antiochia, sede che tenne a periodi alterni: infatti l'anno successivo, nel 471, fu deposto dall'imperatore Leone I (457-474), tornò in possesso della sede dal 476 al 478 ed infine dal 485 fino al 488, data della sua morte.

Assieme a Timoteo Aeluro, patriarca monofisita di Alessandria, F. fu particolarmente attivo nel cercare di far annullare la decisione di condanna del monofisismo del concilio di Calcedonia del 451.

In campo dottrinale, F. propose una variante del monofisismo, denominata teopaschitismo (dal greco, sofferenza di Dio), ma che pareva, con presupposti diversi, una nuova forma di patripassianismo. Infatti i cattolici affermavano (e affermano) che Cristo avesse sofferto la Passione sulla croce in remissione dei peccati dell'uomo. F. affermò, invece, che, nella Passione di Cristo, avesse sofferto tutta la Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo), come, due secoli prima, il patripassianismo affermava che Dio Padre avesse sofferto la Passione. Per porre l'accento sul suo concetto, F. fece aggiungere al Trisagion, un inno di triplice invocazione di Dio, simile al Sanctus e tipico della messa secondo il rito orientale, la frase controversa: "Dio santo, che fosti crocefisso per noi, abbi pietà di noi".

Infine, nel 553, l'imperatore Giustiniano (527-565), nel tentativo di far conciliare i monofisiti con i cattolici, dichiarò perfino ortodosso il teopaschitismo di F. durante il secondo concilio ecumenico di Costantinopoli, ma la mossa non sortì il risultato atteso.