Il famoso scienziato Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 febbraio 1564, primogenito dei sette figli di Vincenzo Galilei (ca. 1525-1591), un nobile caduto in miseria, d'origine fiorentina, che si era guadagnato una certa notorietà come liutista, teorico della musica e matematico, e di Giulia Ammannati (1538-1620). Nonostante che il giovane G. s'interessasse ben presto alla matematica e alla meccanica, il padre decise, nel 1581, di iscriverlo alla facoltà di medicina dell'università di Pisa, che il figlio frequentò per quattro anni senza però ottenere alcun titolo accademico.
G. proseguì invece privatamente nei suoi studi preferiti con il matematico della corte medicea Ostilio Ricci (1540-1603), che convinse Vincenzo Galilei di permettere al figlio di abbandonare medicina per intraprendere gli studi, per l'appunto, di matematica, nella quale il giovane ottenne brillanti risultati. Infatti, come racconta un noto aneddoto, nel 1583 osservando le oscillazioni di una lampada nella cattedrale di Pisa, G. formulò la sua teoria sull'isocronismo delle oscillazioni della pendola.
Nel contempo egli fu influenzato dal pensiero del suo professore, Francesco Buonamici (ca. 1530-1603), che gli instillò la convinzione che solo l'esperienza fisica poteva stabilire la verità o la falsità delle tesi formulate in maniera teorica. Nel 1586 G. realizzò una stadera idrostatica per la determinazione del peso specifico (gli studi furono pubblicati nel trattato La bilancetta) e nel 1588 un trattato sulla gravità nei solidi gli permise di occupare una cattedra di matematica all'università di Pisa dal 1589, ma poco dopo entrò in conflitto con gli studiosi aristotelici dell'università, quando dimostrò, pare dall'alto della torre di Pisa, la falsità della teoria che la velocità di caduta di un solido fosse proporzionale al proprio peso, dimostrando invece che dipendeva dalla diversa resistenza all'attrito dell'aria.
Le polemiche che ne seguirono convinsero G. di trasferirsi dapprima a Firenze, e poi, grazie all'interessamento di amici nel Senato di Venezia, a Padova, dove fu nominato nel 1592 cattedratico di matematica, posto che mantenne fino al 1610. Il periodo di G. a Padova fu inoltre allietato dalla nascita, tra il 1600 ed il 1606, dei tre figli, Virginia, Livia e Vincenzo, avuti dalla sua compagna, la veneziana Marina Gamba.
Nell'estate 1609, G. mise a punto un telescopio (seguito nel periodo 1619-24 dal microscopio o occhialini, come li chiamava lui), che tuttavia non fu inventato, come spesso si crede, dal matematico pisano, bensì dal fabbricante di occhiali olandese Hans Lippershay, o Lipperhey (m. 1619), che ne aveva depositato il brevetto il 2 ottobre 1608. Comunque, con questo strumento G. iniziò una serie di osservazioni astronomiche che lo resero celebre. Vide infatti che la Luna non era affatto una sfera perfettamente liscia, ma della stessa natura della Terra, che la Via Lattea non era altro che un ammasso di stelle, che Giove aveva un sistema di satelliti, da lui denominati "stelle medicee" in onore di Cosimo II de' Medici (1609-1621). In seguito egli scoprì gli anelli di Saturno, le fasi di Venere e le macchie solari.
Tutte queste scoperte, riassunte nel Sidereus Nuncius del 1610 e nell'Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari del 1612, misero in crisi la tesi aristotelica della fissità della Terra e dell'unicità del centro dei movimenti cosmici e rafforzarono la convinzione di G. nella bontà della criticata teoria eliocentrica di Niccolò Copernico (1473-1543). Nonostante ciò, G. fu ammirato, anche dalla stessa Chiesa, per le sue scoperte e nel 1610 accettò la cattedra di matematica all'università di Pisa.
Eppure una parte del mondo accademica aristotelico e del clero mal sopportava i suoi enunciati e lanciarono una campagna di pesanti accuse contro il pisano. Iniziò il filosofo anti-copernicano Ludovico delle Colombe (1565-ca. 1616), al quale seguì nel 1612 il predicatore domenicano Niccolò Lorini, che accusò G. d'eresia, e l'anno dopo, un altro domenicano Tommaso Caccini (1574-1648) si recò perfino a Roma per esporre all'Inquisizione le sue accuse contro G.
Quest'ultimo incominciò a preoccuparsi della situazione e scrisse, tra il 1613 ed il 1615, quattro lettere (le cosiddette "lettere copernicane") rispettivamente una all'amico Benedetto Castelli (1578-1643), due a monsignor Pietro Dini (futuro arcivescovo di Fermo: 1621-1625) e una alla granduchessa madre Cristina di Lorena (1565-1636), in cui egli si difese, affermando l'autonomia della scienza dalla metafisica, che alcuni punti delle Sacre Scritture erano stati scritti in forma volutamente allegorica per i lettori culturalmente più semplici e che il testo non sempre doveva essere preso alla lettera, in particolare per quanto concerneva la natura.
Nonostante le argomentazioni di queste lettere e benché il Duca d'Acquasparta, Federico Cesi (1585-1630), fondatore dell'Accademia dei Lincei nel 1603, lo mettesse in guardia di non esporsi troppo, nel febbraio 1616 G. fu convocato a Roma per ordine del Papa Paolo V (1605-1621) ed il cardinale gesuita Roberto Bellarmino (1542-1621) (persecutore di Giordano Bruno e di Tommaso Campanella) lo ammonì ufficialmente, attraverso un decreto del Tribunale dell'Inquisizione, a non difendere l'astronomia copernicana giacché era contraria alle dottrine della Chiesa: G. dovette obtorto collo adeguarsi alle direttive papali.
Tuttavia sette anni dopo, nel 1623, approfittando di una situazione all'apparenza meno repressiva [nel 1621 era morto Bellarmino ed era salito al potere nel 1623 il nuovo papa, Urbano VIII (1623-1644), amico di G. e senz'altro di visioni più ampie di Paolo V], G. scrisse Il saggiatore, dedicandolo proprio al nuovo pontefice. Il libro, prendendo spunto da una polemica con il matematico e architetto gesuita Orazio Grassi (1583-1654) circa la natura delle comete, riportava invece la sua teoria della conoscenza, dove, tra l'altro, fu ribadita la superiorità della natura ed il rifiuto metodologico a riferirsi ad autorità precostituite o a sacri testi, una vera stoccata polemica non tanto contro Aristotele, quanto contro la scuola aristotelica dell'epoca e contro i gesuiti.
Poiché l'accoglienza del libro sembrò positiva, G. osò spingersi oltre, arrivando a pubblicare nel febbraio 1632 il suo capolavoro, il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano: il dialogo, articolato in quattro giornate, riportava le discussioni in tema di astronomia, moto dei corpi e fenomeno delle maree, di tre studiosi, l'aristotelico e tolemaico (quindi per G. altamente criticabile) Simplicio, il giovane acuto e imparziale Sagredo e il copernicano Salviati (nel quale si può identificare lo stesso G.). Tuttavia nelle conclusioni del libro G. riportò, per bocca di Simplicio, il pensiero di Urbano VIII, secondo il quale Dio, nella sua onnipotenza, può fare sì che i fenomeni osservati convalidano (o meno) una teoria, e che quindi l'osservazione degli eventi non può condurre per forza di cose alla verità.
La reazione del papa stesso non si fece attendere: non potendo essere attaccato per il contenuto del libro, regolarmente accettato dalla censura ecclesiastica, nell'ottobre 1632 G. fu convocato a Roma da parte del Sant'Uffizio con l'accusa di non aver rispettato l'ordine di Bellarmino del 1616 di non difendere la teoria copernicana. G. fu quindi processato e, sotto la minaccia della tortura, dovette abiurare il 22 giugno 1633 in Santa Maria della Minerva. Secondo la leggenda, G., alzatosi in piedi dopo l'abiura, pronunciò a bassa voce la famosa frase E pur si muove, con riferimento al moto della Terra.
Lo scienziato fu condannato al carcere perpetuo e venne trasferito dapprima a Siena, sotto la custodia dell'amico e protettore arcivescovo Ascanio Piccolomini (1597-1671), ma, pochi mesi più tardi, gli fu permesso di trasferirsi nella sua villa di Arcetri, vicino a Firenze, dove visse fino alla sua morte.
Riuscì ancora a far pubblicare nel 1638 a Leida, in Olanda, i suoi Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, attinenti alla meccanica e i movimenti locali, e a ospitare alcuni allievi, come il suo più fedele allievo Vincenzo Viviani (1622-1703), autore della Vita di Galileo, ed Evangelista Torricelli (1608-1647), l'inventore del barometro, ma gli ultimi anni furono resi dolorosi sia dalla morte nel 1634 della figlia Virginia (1600-1634), diventata una religiosa carmelitana con il nome di suor Maria Celeste e unico suo conforto durante il processo e nel periodo immediatamente successivo, che dalla cecità progressiva, divenuta totale da partire dal 1638.
G. morì ad Arcetri l'8 gennaio 1642.