L'imperatore Giuseppe d'Asburgo Lorena era il figlio primogenito di Francesco Stefano I (imperatore di Germania: 1745-1765) e Maria Teresa d'Austria (imperatrice d'Austria: 1740-1780), da cui nacque il 13 marzo 1741 a Vienna.
Indubbiamente la figura autoritaria e ingombrante della madre influenzò G. nei suoi primi anni di vita. Solo dalla morte del marito nel 1765 Maria Teresa associò il figlio al trono, ma facendogli amministrare solo alcune faccende routinarie e la parte militare dell'impero. G. soffrì di questi condizionamenti e cercò un'evasione dalle grinfie materne in frequenti viaggi in Italia, Francia, Russia (dove incontrò l'imperatrice Caterina II), Prussia (G. ebbe sempre un'ammirazione per Federico II) e nelle varie parti dell'Impero. Finalmente, nel 1780, alla morte della madre, Giuseppe poté regnare da solo l'impero per i successivi 10 anni, vale a dire fino alla sua morte avvenuta il 20 febbraio 1790.
A parte la riforma ecclesiastica nell'impero (di cui sotto), G. fu noto soprattutto per essere stato uno degli artefici della spartizione della Polonia nel 1773, da cui l'impero ottenne una notevole espansione del proprio territorio.
Negli affari interni, G. fu noto per aver abolito la censura, per aver introdotto tasse a carico della nobiltà e del clero, per aver centralizzato a Vienna molte delle decisioni concernenti le province più lontane e per aver introdotto l'obbligo dell'uso del tedesco come lingua ufficiale.
G. è ricordato come padre del giuseppinismo, una delle forme di regolazione degli affari ecclesiastici, mediante editti, da parte dei regnanti locali, che asserivano un'autonomia, più o meno estesa, dall'autorità del Papato. Infatti, ad iniziare dal 1781 e prendendo spunto dalle idee di Johann Nikolaus Honheim (Febronio), G. mise in pratica una vasta riforma ecclesiastica nelle terre dell'impero.
Dapprima egli emanò il Toleranzpatent (editto di tolleranza), nel quale erano previsti l'abolizione delle persecuzioni religiose, della tortura e della condanna alla pena capitale. Poi, nel 1783, garantì a tutte le confessioni (compresi ebrei, protestanti e ortodossi) il libero esercizio del loro culto e i diritti civili. D'altra parte, l'editto prevedeva anche lunghe e puntigliose prescrizioni concernenti le preghiere, i sermoni, gli addobbi dell'altare e perfino la lunghezza delle candele. L'imperatore non si fermò certo qui e concepì un unico grande fondo finanziario, denominato Religionsfonds, da cui attingere per tutte le esigenze economiche e nel quale obbligatoriamente dovevano convergere tutte le proprietà ecclesiastiche.
Inoltre egli stabilì la soppressione di conventi, e di molti ordini religiosi, innanzitutto di quello dei gesuiti [che comunque erano già stati soppressi come ordine nel 1773 per decreto di Papa Clemente XIV (1769-1774)] e poi degli ordini che non avevano attività d'insegnamento o di assistenza ospedaliera, come i cappuccini, i camaldolesi, i certosini, le clarisse, le carmelitane. Dei 915 monasteri presenti in Austria, Boemia, Moravia e Galizia, ne furono chiusi 388 e agli ex-religiosi il Religionsfonds destinava una pensione.
Furono inoltre riformate le parrocchie: ne furono fondate di nuove, per fare sì che ogni parrocchia non servisse più di 700 anime e non fosse a più di un'ora di cammino per il parrocchiano che abitasse più distante. Vennero infine fondati dodici seminari teologici (nel Lombardo-Veneto fu istituito a Pavia), ma nel contempo tutte le scuole monastiche furono soppresse. La reazione del Papa a tutto questo sconvolgimento organizzativo fu debole ed inefficace: infatti, un pellegrinaggio apostolico a Vienna di Papa Pio VI (1775-1799) nel 1782 non sortì alcun risultato utile per la Curia romana.