Secondo Anselmo di Alessandria (Tractatus de haereticis), Marco, un becchino lombardo, fu il primo italiano convertito alla fede catara da un non meglio precisato "notaio francese", giunto a Concorezzo (vicino a Monza). Detto notaio introdusse M. al dualismo moderato (della Chiesa di Bulgaria) e l'ex becchino, in seguito ordinato diacono, convertì i tre amici, il tessitore Giovanni Giudeo, il fabbro Giuseppe e un tale Aldrico, con i quali si recò ad una riunione catara a Roccavione (in provincia di Cuneo), e poi a Napoli. In seguito egli diffuse il catarismo in Lombardia, Veneto e Toscana.
Tuttavia fu decisivo per Marco il successivo incontro con Niceta, il vescovo bogomilo della Chiesa di Dragovitza (in Bosnia), che lo convinse ad allinearsi sulle posizioni dualistiche assolute e lo nominò vescovo di tutti i catari d'Italia.
Questo potere di Niceta fa sì che, secondo alcuni autori, egli si possa considerare un vero papa cataro, anche se la terminologia pare alquanto impropria e sicuramente non usata dai catari stessi.
Nel 1167 M. e Niceta si recarono ad un concilio cataro a Saint Felix de Lauragais (o de Caramon), vicino a Tolosa, dove furono poste le basi per una chiesa catara, vera e propria alternativa a quella Cristiana Cattolica, organizzando quattro diocesi nel sud della Francia (Agen, Albi, Carcassonne e Tolosa) con altrettanti vescovi e la Chiesa d'Italia con a capo Marco stesso.
L'unità della chiesa catara italiana fu però molto effimera: M. fu accusato di aver peccato carnalmente con una donna e durante il suo viaggio nei Balcani per farsi riordinare mediante il consolament, egli si ammalò gravemente. Provvide allora a nominare il suo successore, il già menzionato Giovanni Giudeo, ma la stessa accusa colpì anche quest'ultimo ed il catarismo italiano si spezzò in due tronconi (i seguaci di Giovanni Giudeo e quelli di Pietro Lombardo di Firenze), che poi formarono le sei chiese autonome (Concorezzo, Desenzano, Bagnolo San Vito, Vicenza, Firenze e Spoleto), attive fino alla totale repressione dell'eresia.