Priscilliano, un nobile ed erudito spagnolo, stabilì, nel 385, il non invidiabile primato di essere stato il primo eretico messo a morte dalla Chiesa Cristiana, anche se per ordine dell'imperatore usurpatore Massimo Magno Clemente (383-388).
Egli, probabilmente nato nel 345, imparò le dottrine gnostiche manichee da un certo Marco, un egiziano di Memphis e sviluppò un movimento ascetico molto popolare, al tempo, in Spagna. Il movimento attirò le simpatie di due vescovi cattolici, Istanzio e Salviano e di uno studioso di retorica, Elpidio, ma anche le preoccupazioni di tre vescovi ortodossi, Igino di Cordova, Idacio di Emeritu e Itacio di Ossanova (il più accanito anti-priscillianista), che convinsero i vescovi spagnoli a convocare un sinodo nel 380 a Saragozza, dove i priscillianisti furono scomunicati.
Nonostante le condanne del suo movimento, P., diventato dapprima sacerdote, fu nominato vescovo d'Avila nel 380 ca., ma poco dopo fu esiliato, nel 381, dall'imperatore Graziano (375-383). In Italia la sua condanna all'esilio fu condonata e P. rientrò in Spagna, aumentando il suo seguito e obbligando, a sua volta, Itacio all'esilio. Quest'ultimo pensò di ricorrere all'imperatore, ma, nel 383, il legittimo regnante Graziano era stato assassinato dall'usurpatore Massimo Magno Clemente, al quale, comunque, ricorse Itacio.
Massimo convocò il sinodo di Bordeaux nel 384, dove Itacio riuscì a far condannare il vescovo priscillianista Istanzio, ma P. stesso si appellò all'imperatore recandosi a Treviri: ancora una volta Itacio attaccò P. con una tale ferocia che San Martino di Tours (ca.316-397), presente al processo, intervenne, lamentando che una causa religiosa fosse finita davanti ad un tribunale civile.
San Martino cercò, inoltre, di convincere Massimo a non applicare la pena di morte, in caso di condanna, ma quando il santo lasciò la città, l'imperatore fece decapitare, nel 385, P. e i suoi seguaci, sotto l'accusa di magia.
L'esecuzione fu censurata dal mondo cattolico, da Papa San Siricio (384-399) fino a Sant'Ambrogio, e l'ondata d'indignazione, che ne seguì, portò, perlomeno, alla definitiva deposizione ed allontanamento di Itacio e Idacio. Oltretutto, la condanna a morte di P. non fece che crescere la popolarità del suo movimento, condannato nuovamente, ma inutilmente, dal sinodo di Toledo del 400.
15 anni più tardi, nel 415, il prete spagnolo Paolo Orosio, allievo di Sant'Agostino, sentì la necessità di rivolgersi al suo maestro per chiedere il suo aiuto nella lotta contro il p. In seguito, nel 427, su sollecitazione del diacono Quodvultdeus, Agostino ne scrisse nella sua opera Sulle eresie (De haeresibus). Tuttavia né quest'episodio né vari concili nel V secolo riuscirono a debellare il movimento, che si poté definire scomparso solo dopo il Sinodo di Braga del 563.
La dottrina di P. era una complessa miscela di manicheismo dualista, docetismo e sabellianismo.
Dal manicheismo dualista, P. predicava che il corpo era opera del demonio, principio del male e delle tenebre, mentre l'anima era fatta della stessa sostanza di Dio e che avrebbe potuto vincere contro il regno delle tenebre, ma che era stata intrappolata nel corpo come punizione per i suoi peccati. Perciò, l'uomo, secondo P., poteva redimersi solo con una condotta veramente virtuosa.
Dal docetismo, P. aveva preso il concetto che Cristo fosse una emanazione divina, negando la sua incarnazione e il conseguente dogma della resurrezione.
Dal sabellianismo, P. aveva attinto la negazione della pre-esistenza di Cristo prima della Sua nascita e della Sua natura umana. Inoltre, il Padre ed il Figlio non erano che due modi di presentarsi della stessa Persona divina.
Dal punto di vista comportamentale, i priscillianisti erano fortemente critici nei confronti di una crescente esteriorità della Chiesa Cristiana: erano molto ascetici, digiunavano di Domenica e a Natale, e, poiché spesso erano alquanto facoltosi, essi vendevano tutti i loro beni per aiutare i poveri.
Inoltre erano soliti portare a casa l'ostia data durante l'Eucaristia in chiesa per prenderla durante cerimonie private di preghiera, quasi come forma di rifiuto della Chiesa ufficiale.