Tillich, Paul (1886-1965) ed esistenzialismo cristiano

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Paul Tillich

L’esistenzialismo cristiano

Ispirata direttamente dagli scritti del famoso filosofo cristiano danese Søren Aaby Kierkegaard (1813-1855), l’esistenzialismo è la filosofia (con implicazioni etico-religiose) che prende spunto dal concetto dell’esistenza dell’uomo come tema centrale di riflessione, in contrapposizione alle metafisiche speculative ed alle filosofie che vedono l’uomo come parte di schemi più totalizzanti, caratteristici, per esempio, dell’idealismo di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831). In particolare, Kierkegaard credeva che Cristo rappresentasse l’unione trascendente di Dio e dell’uomo. Il rapporto personale di quest’ultimo, “pensatore soggettivo esistente”, con Dio superava le moralità, le strutture e le norme sociali: non esisteva per il filosofo danese alcuna possibilità di un sistema obiettivo di verità dottrinali.
Per Kierkegaard ogni individuo deve fare le proprie scelte, anche se errate, ed agire conseguentemente: infatti, anche il seguire le convenzioni sociali è una scelta strettamente personale. Il pensiero religioso di Kierkegaard ha influenzato diversi filosofi e teologi cristiani (curiosamente tutti nati negli anni ’80 del XIX secolo), come il tedesco Karl Jaspers (1883-1969), il francese Gabriel Marcel (1889-1973), lo svizzero Karl Barth ed il tedesco, poi naturalizzato americano, Paul Tillich.

I primi anni di Tillich

Il teologo Paul Tillich nacque il 20 agosto 1886 nel villaggio di Starzeddel, nella provincia prussiana del Brandeburgo, figlio di un pastore luterano e della moglie, originaria della Renania, la quale morì, lasciando il giovane Paul orfano all’età di 17 anni. Questi studiò a diverse università tedesche, come quelle di Berlino, Tübingen, Halle e Breslavia, prima di laurearsi in filosofia in quest’ultimo ateneo nel 1911. L’anno successivo T. ottenne un diploma in teologia a Halle e fu quindi ordinato pastore della Chiesa Luterana Evangelista. Con questa qualifica, egli fu arruolato come cappellano militare due anni dopo, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Per quattro anni T. prestò servizio sul fronte occidentale, e proprio in una notte a Verdun, in mezzo ai morti, riflettendo sull’immane tragedia e sugli orrori della guerra, egli si rese conto che l’idealismo era un concetto definitivamente morto.

Il periodo in Germania dopo la Prima Guerra Mondiale

Dopo la fine della guerra, T. iniziò ad insegnare filosofia della religione dapprima presso l’università di Berlino, e poi, dal 1924, presso quella di Marburg, dove incontrò il filosofo Martin Heidegger (1889-1976), dal quale fu profondamente influenzato.
Nel 1925 si trasferì all’università di Dresda, e poco dopo a Lipsia. Infine, dal 1929 egli approdò all’università di Francoforte, come docente di filosofia. Tuttavia il suo crescente impegno cristiano-socialista ed anti-nazista gli costò il posto di lavoro alla salita di Hitler al potere nel 1933: T. fu licenziato dall’università e gli fu sbarrata ogni possibilità d’impiego negli altri atenei tedeschi.

L’emigrazione in Stati Uniti

Per sua fortuna, egli incontrò nello stesso anno il teologo Reinhold Niebuhr (1892-1971), che lo invitò a trasferirsi in Stati Uniti con la sua famiglia. Nel novembre 1933 T. emigrò quindi a New York, e qui fu nominato docente di teologia filosofica all’Union Theological Seminary (Seminario Teologico dell’Unione), posto che ricoprì dal 1933 al 1955. Nel frattempo (1940) T. divenne cittadino americano. Nel 1954 egli fu chiamato all’importante università di Harvard, dove rimase fino al 1962. In quell’anno T. si trasferì come docente di teologia all’università di Chicago, dove la morte lo colse il 22 ottobre 1965. Le sue ceneri sono state inumate nel parco a lui intitolato nella città di New Harmony, nell’Indiana.

Il pensiero

Uno dei pensieri fissi di T. era la reciproca accettazione tra fede e cultura moderna, vale a dire l’integrazione tra teologia, filosofia, religione e politica: egli cercava quindi di applicare una teologia concreta alla vita comune di tutti i giorni e credeva che la Rivelazione non era contraria alla ragione. In ciò sta la popolarità dei suoi libri [come The Courage to be (Il coraggio di essere) del 1952, e Dynamics of Faith (Dinamica della fede) del 1957], di facile lettura anche per i non addetti ai lavori.

L’esistenzialismo di T. culminava nell’angoscia che noi proviamo rendendoci conto della nostra mortalità: il nostro “essere” non può essere causato da un altro “essere” finito, ma dall’assoluto o “essenza”. A quest’ultima si contrappone, e n’è dipendente, l’esistenza: l’una è infinita, l’altra è finita, e proprio per questo motivo l’esistenza è separata dall’essenza, come l’uomo è separato da Dio, e questa separazione porta al peccato. Ed ecco inserirsi la visione di Cristo secondo T.: Egli è il “Nuovo Essere”, che corregge l’alienazione tra essenza ed esistenza, contenendole ambedue due. Per il Cristianesimo tradizionale Cristo è pienamente Dio e uomo, ma per T. Egli è il simbolo del più alto obiettivo dell’uomo, quello che Dio vorrebbe che tutti gli uomini diventassero.

Per quanto riguarda Dio, T. credeva che Egli fosse oltre l’essere, al di sopra del tempo e dello spazio, un concetto che si riassume nella sua frase: “Dio non “esiste”. Egli “è” al di là dell’essenza e dell’esistenza. Perciò dibattere se Dio esiste equivale a negarLo”.
Questa separazione, delineato da T., tra finito (esistenza) e infinito (essenza) porta, oltretutto, a non considerare i dogmi troppo seriamente, proprio per la loro natura finita, quindi imperfetta. Rivestiva, invece, una grande importanza nella teologia di T. (che seguiva il filone della demitizzazione di Rudolf Bultmann) il valore prettamente simbolico della Bibbia e delle conoscenze teologiche e spirituali.