Ragnoni (o Rangone), Lattanzio (1509-1559)

I primi anni

Il riformatore Lattanzio Ragnoni (più raramente riportato come Rangone) nacque a Siena il 10 marzo 1509 dal patrizio Jacomo di Bartolomeo di Cone Ragnoni, una delle famiglie più in vista della città: egli fu quindi destinato ad una rapida carriera pubblica. Vessillifero a 13 anni, nel 1527 R. fu nominato Capitano di Monticiano a soli 18 anni. Poco dopo egli s'iscrisse alla facoltà di legge dell'università cittadina, laureandosi giovanissimo, visto che nel marzo (o aprile) 1531 R. oramai "dottore in legge" entrò dapprima a far parte del Concistoro (massimo organo della magistratura senese) e poi fu promosso Cancelliere della Balia (la struttura di autogoverno della repubblica senese).

L'incontro con i valdesiani

Tuttavia furono le sue scelte religiose che decisero il suo destino futuro: sotto l'influenza del compaesano, Bernardino Ochino, generale dell'ordine dei cappuccini dal 1538 e acclamato predicatore dell'epoca, ma attratto dalle idee luterane e da quelle professate da Juan de Valdés, R. seguì le orme del maestro e nel 1540 lo troviamo parte dei famosi circoli napoletani, frequentati, fra gli altri, da Marcantonio Flaminio, Pier Marire Vermigli, Benedetto Fontanini da Mantova, Apollonio Merenda, Pietro Carnesecchi, Giovanni Bernardino Bonifacio, Galeazzo Caracciolo e Vittore Soranzo.

R. aderì all'ala più oltranzista, accettando la giustificazione per fede, e negando i dogmi cattolici della messa, dei sacramenti, delle indulgenze e del purgatorio. Oltre a ciò, dopo la partenza di Marcantonio Flaminio per Viterbo (dove costituì il gruppo di riformatori gravitanti intorno al cardinale Reginald Pole), R. estremizzò il suo pensiero sull'Eucaristia, rifiutando sia la transustanziazione cattolica che la consustanziazione luterana a favore di una presenza puramente simbolica del corpo e sangue di Cristo, propugnata da Zwingli.

In seguito alla fuga di Ochino in Svizzera nel 1542, R. si trasferì, insieme ad altri valdesiani, a Venezia, dove con ogni probabilità collaborò alla pubblicazione del famoso Beneficio di Christo di Benedetto Fontanini da Mantova. Nei nove anni successivi, R. si tenne in contatto con la maggior parte dei riformatori italiani e riuscì pure a convertire suo fratello minore, Orazio (n. 1515), ma, nel 1551, braccato dall'Inquisizione, egli decise di emigrare in Svizzera.

R. a Ginevra

Ed in effetti, egli venne segnalato nel registro dei residenti di Ginevra calvinista nel settembre 1551, ma già dal giugno dello stesso anno, c'è traccia di un suo incontro con Galeazzo Caracciolo, anch'egli esule a Ginevra, che lo incoraggiò ad organizzare il catechismo della locale Chiesa Riformata per la comunità italiana, a capo della quale fu chiamato il canonico bresciano Massimiliano Celso Martinengo, rimasto in carica fino alla sua morte nel 1557.

Nell'autunno 1552 R. raggiunse a Lione Pietro Carnesecchi, dove stava svernando prima di rientrare in Italia, e cercò inutilmente di convincere il protonotario a trasferirsi a Ginevra. Questi sarebbe stato bruciato sul rogo nel 1567.

Nel 1557, dopo la morte del pastore Martinengo, Calvino dapprima cercò di convincere Pier Martire Vermigli di trasferirsi a Ginevra per dirigere la Chiesa Italiana, ma poi consacrò pastore proprio R., ponendolo alla guida della Chiesa stessa. L'amicizia e l'identità di vedute tra i due (ambedue giuristi nati nel 1509) furono messe alla prova l'anno successivo, quando Calvino decise di testare la "tenuta" ideologica della riottosa comunità italiana in esilio a Ginevra, facendola convocare il 18 maggio 1558, alla sua presenza, davanti al concistoro della Chiesa italiana per approvare la confessione di fede, redatta da Calvino stesso e da R. Sette riformati italiani, tra cui Giovanni Paolo Alciati della Motta e Giorgio Biandrata non accettarono e furono espulsi da Ginevra "per essersi sollevati contro la Santa Riformazione".

L'ultimo atto ufficiale di R. fu proprio la pubblicazione di questa confessione di fede (la prima redatta in lingua italiana), detta Formulario, che fu data alle stampe nel gennaio 1559. Il mese successivo, il 16 febbraio 1559, egli morì a Ginevra e solo nel 1561 il suo posto fu alfine occupato da Niccolò Balbani.