Dopo la morte sul rogo, nel 1550, del fornaio Fanino Fanini, missionario a Faenza delle dottrine evangeliche, nella città romagnola si radicarono sempre più le idee religiose, portate dalla Riforma luterana. Infatti il caso Fanini non fu isolato, ma indicativo di un crescente interesse per la sozza lebra lutherana, come la definì fra Sabba da Castiglione (1480-1554), o la mala dottrina lutherana, che, secondo il gesuita Paschase Broët (1500-1562), era stata introdotta a Faenza dalle predicazioni di Bernardino Ochino.
Gli studi nel XX secolo di monsignor Francesco Lanzoni hanno evidenziato una presenza a Faenza, negli anni intorno al 1550, di ben 155 sospetti luterani, che su una popolazione di circa 15.000 persone era una percentuale di tutto rispetto, ma le autorità ecclesiastiche dell'epoca molto probabilmente presero il fenomeno sotto gamba, illudendosi di averlo stroncato con le abiure del 1550/1551.
Ma, nel febbraio-marzo 1567 la denuncia di Salvatore Panettino (o Panettini), probabile collaboratore dell'Inquisitore Generale (che, per questo motivo, spostò la sede dell'Inquisizione da Rimini a Faenza) e infiltrato negli ambienti riformati della città, riportò l'attenzione sulla diffusione della Riforma a Faenza. Secondo il Panettino, infatti, diverse persone tutti suspettissimi di eresia si riunivano per far conventicule o redutti in casa di Camillo Ragnolo e Federico Gucci.
Camillo Ragnolo (o Ragnoli o Regnoli) era un giurista e persona molto in vista a Faenza, essendo stato più volte membro del Consiglio generale, fin dal 1540, e priore degli Anziani, tra il 1556 ed il 1566.
Il gruppo evangelico, che si riuniva a casa di R., comprendeva, tra gli altri, sua moglie Camilla Caccianemici, suo fratello Antonio Ragnolo, e circa 25 faentini, che comprendevano sacerdoti (come don Girolamo Bertoni), notai (come ser Matteo Dalle Tombe) e maiolicari [vale a dire, fabbricanti di maioliche, come Pietro Paolo Stanghi (o Stanchi)]. Essi leggevano libri di Lutero, Calvino, Bernardino Ochino e Francesco Negri da Bassano (La tragedia intitolata libero arbitrio): alcuni di loro furono definiti antiqui perché già precedentemente erano stati denunciati e poi perdonati con l'abiura del 1550/51, mentre altri erano nuovi a queste dottrine, e furono perciò definiti moderni.
Mantenevano i contatti con Ginevra, dove ogni anno Girolamo Bertoni si recava per acquistare nuove pubblicazioni. Le loro credenze comprendevano il rifiuto del libero arbitrio, dell'autorità papale, delle cerimonie sfarzose, delle opere buone, delle indulgenze, della venerazione dei santi, delle preghiere per i morti, del dogma del purgatorio, e la convinzione in una presenza simbolica di Gesù nell'Eucaristia.
Nel 1567, dunque, l'Inquisizione si mosse, facendo imprigionare circa 150 sospetti: di questi 9 furono condannati a morte, 42 alle galere e 27 al carcere. Il 25 maggio 1569, dopo due anni di carcere a Tor di Nona (a Roma), R. fu impiccato e il suo corpo fu arso sul rogo a Ponte Sant'Angelo. Nello stesso autodafè furono giustiziati Bartolomeo Bartoccio e l'ex frate minorita, e pastore riformato di Morbegno, Francesco Cellario (1520-1569).
Anche gli altri capi della conventicola ebbero un crudele destino: la moglie di R., Camilla Caccianemici fu impiccata e bruciata a Faenza (davanti alla Chiesa di Sant'Andrea in Panigale) il 23 agosto dello stesso anno, Antonio Ragnolo e Matteo Dalle Tombe furono condannati a vita alle galere (e vi morirono), Girolamo Bertoni fu bruciato vivo il 10 maggio 1568, in quanto relapso, e Pietro Paolo Stanghi fu murato vivo, probabilmente nel 1567.