Bernardino Tommassini, detto Ochino dal nome della contrada dell'Oca, il Savonarola del Cinquecento secondo lo storico Roland Bainton, nacque a Siena nel 1487.
Nel 1503 circa entrò giovanissimo nell'ordine dei Francescani osservanti, dove divenne successivamente Provinciale, e successivamente in quello dei Cappuccini, intorno al 1534, diventandone Vicario Generale nel 1538. Come predicatore brillante ed acclamatissimo (veniva considerato il migliore predicatore dei suoi tempi), percorse in lungo ed in largo l'Italia tra il 1534 ed il 1542: un esempio per tutti, le sue prediche a Siena ammirate da Aonio Paleario.
Iniziò, in questo periodo, a documentarsi sulle dottrine di Lutero e Melantone, ma l'incontro decisivo per il suo futuro di riformista, lo ebbe a Napoli, durante le famose prediche quaresimali da lui tenute nel 1536, nella chiesa del monastero di San Giovanni Maggiore, e che commossero perfino l'imperatore Carlo V (1519-1558), reduce da una spedizione a Tunisi.
A Napoli, nello stesso periodo, O. entrò nel circolo, fondato da Juan de Valdès, dove si concentrava il vertice dei riformisti italiani dell'epoca, composto, tra gli altri, da Pier Martire Vermigli, Pietro Carnesecchi, Marcantonio Flaminio, Giovanni Bernardino Bonifacio, Benedetto Fontanini da Mantova, Galeazzo Caracciolo, Bartolomeo Spadafora, Apollonio Merenda, Vittore Soranzo, le nobildonne Vittoria Colonna, Giulia Colonna Gonzaga e Caterina Cibo da Camerino. Dalle conversazioni con quest'ultima, O. stese nel 1539 i Sette Dialoghi, un primo segnale del suo rifiuto verso la teologia cattolica. Assieme a Vittoria Colonna, O. fondò a Ferrara nel 1537 un monastero di clarisse cappuccine ed ebbe l'occasione di conoscere, sebbene solo in un secondo momento rispetto agli altri riformatori, il cardinale inglese Reginald Pole.
A Napoli egli predicò con successo ancora nel 1539 e 1540 (anno in cui si recò anche in Sicilia). Si diceva che lo stesso Valdès gli suggerisse di volta in volta il tema da svolgere: gli argomenti erano quelli cari agli evangelici, come la giustificazione sola fide e sola gratia, il valore delle opere buone, ecc. A questo periodo, nel 1540 circa, risale la conversione di O. al luteranesimo, ma mantenendo un atteggiamento molto riservato, addirittura nicodemitico, egli non attirò i sospetti della Chiesa fino l'anno dopo, quando una vigorosa predica a Venezia, contenente un'appassionata difesa di Giulio della Rovere ("un predicatore del puro evangelio", come scrisse O. successivamente in una lettera del 7 dicembre 1542, subito dopo la sua fuga, ai senatori della Serenissima), arrestato durante la Quaresima dello stesso anno, pose l'O. nel mirino dell'inquisizione di Papa Paolo III (1534-1549).
Nel 1542 gli fu proibito di predicare da parte del nunzio apostolico di Venezia: si recò quindi a Verona, dall'amico, il vescovo Gian Matteo Giberti, e qui lo raggiunse la convocazione a Roma da parte dell'Inquisizione del cardinale Gian Pietro Carafa, il futuro Papa Paolo IV (1555-1559).
Nell'agosto dello stesso 1542 O. si avviò alla volta di Roma, ma i due colloqui avuti lungo la strada con un morente Gasparo Contarini a Bologna e un decisivo incontro con Vermigli a Firenze, gli fecero maturare la decisione di prendere, assieme a Vermigli stesso, la via dell'esilio in Svizzera. Dopo una breve sosta a casa della duchessa Caterina Cibo, dove gettò il saio, O. si rifugiò a cavallo, vestito da laico, dapprima a Morbegno (nella Valtellina sotto il cantone protestante dei Grigioni dal 1512), e poi a Ginevra, dove Calvino lo mise a capo della comunità dei riformatori italiani esuli. A proposito della fuga in Svizzera del Vermigli e dell'O., Marcantonio Flaminio commentò pubblicamente nell'autunno 1542 "ch'erano partiti gli apostoli d'Italia" .
La fuga di O. fece un enorme scalpore in tutta l'Italia: Carafa lo paragonò alla caduta di Lucifero. O. era, infatti, ammirato, addirittura venerato, dai potenti, come, sopra riportato, lo stesso imperatore Carlo V, da vescovi e da cardinali e lo shock per la sua fuga ed implicita ammissione della conversione alla Riforma fu grandissimo.
A Ginevra, nello stesso 1542, O. fece stampare le sue opere principali, dai primi volumi delle Prediche ai Sette Dialoghi al pasquillo (un tipo di satira a sfondo religioso) l'Immagine di Antechristo, e qui conobbe l'umanista savoiardo Sébastien Castellion.
All'estero risedette, e continuò a svolgere la sua attività di predicatore (per chi capiva l'italiano) dapprima a Basilea (dove fu pubblicato il suo Catechismo nel 1551) nell'agosto 1545, poi a Zurigo, nuovamente a Basilea nel 1546, poi fino al 1547 a Ginevra, per una terza volta a Basilea ed infine ad Augusta, in Germania, dove ebbe contatti con Caspar Schwenckfeld: il mistico tedesco aveva letto i suoi Sette Dialoghi, simpatizzava ed ebbe un intenso scambio epistolare con il senese. Nel 1546 O. conobbe ad un dibattito pubblico a Regensburg (Ratisbona) Francesco Stancaro, con cui condivise il rifiuto delle due nature in Cristo e cui procurò un lavoro di docente ad Augusta.
Il tono delle prediche dell'O. in questo periodo, oltre ad una netta influenza calvinista, richiamava vagamente il pensiero di Gioacchino da Fiore: la suddivisione della storia della religione in tre periodi della legge, la prima della natura fino a Mosè, la seconda della testimonianza scritta fino a Gesù, la terza della Grazia e dell'Amore, da Gesù in avanti.
Dopo la sconfitta nel 1547 della Lega di Smalcalda, formata dai principi tedeschi luterani, ad opera dell'imperatore Carlo V nella battaglia di Muhlberg, O. si rifugiò in Inghilterra, a Londra, chiamato dall'arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer e dal Duca di Somerset Edward Seymour (1506-1552), Lord Protettore e reggente del trono del nipote, re minorenne, Edoardo VI (1547-1553).
In Inghilterra scrisse Una tragedia del Libero Arbitrio, o dialogo della preminenza ingiustamente usurpata dal vescovo di Roma dove O. ipotizzava che il vescovo di Roma era stato eletto da Lucifero e Belzebù, in altre parole era una manifestazione dell'Anticristo col preciso intento di rovinare il Cristianesimo.
Ma nel 1553, con l'avvento al trono d'Inghilterra della regina cattolica Maria Tudor (1553-1558), l'ambiente favorevole ai riformisti si trasformò ben presto in un incubo: Maria passò alla storia come la Sanguinaria per le esecuzioni senza pietà di 273 (o 288, secondo altri autori) protestanti sul rogo.
O. ritornò allora in Svizzera, arrivando a Ginevra il 28 ottobre 1553, esattamente il giorno dopo il rogo di Michele Serveto. La morte di quest'ultimo fece levare moltissime voci di protesta, tra cui quelle degli antitrinitari italiani Giovanni Valentino Gentile, Matteo Gribaldi Mofa e Celio Secondo Curione, che dovettero emigrare successivamente da quella che a loro era sembrata la città della tolleranza religiosa. Anche O. decise di abbandonare Ginevra nel 1554, tuttavia rimase in Svizzera risiedendo a Chiavenna, Basilea e, nel 1555, a Zurigo.
A Zurigo O. fu chiamato per fare il pastore di una comunità di riformati di Locarno, da dove erano fuggiti in massa per motivi religiosi, ospitò, appena fuggiti dall'Italia, Francesco Betti e Jacopo Aconcio, e conobbe Isabella Bresegna (ex moglie di don Garcia Manrique, governatore di Piacenza) fuggita per motivi religiosi. Tuttavia proprio da questa città svizzera fu espulso da Heinrich Bullinger nel dicembre 1563, assieme a Fausto Sozzini, per le sue idee sempre più "spirituali", ma anche antiecclesiastiche, contro i Sacramenti, e antitrinitarie, esposte nell'opera Dialogi triginta.
Passò l'inverno 1563/4 a Norimberga e nella primavera 1564 si recò in Polonia, prima a Cracovia, poi nella vicina Pinczòw, presso il gruppo formato dagli antitrinitari Giorgio Biandrata, Paolo Alciati della Motta e Giovanni Valentino Gentile. Qui dovette soffrire per la perdita di due dei suoi tre figli a causa della peste.
Tuttavia, pochi mesi dopo, nell'agosto 1564, dietro le pressioni del nunzio apostolico, cardinale Giovanni Francesco Commendone (1523-1584), il re Sigismondo II Iagellone, detto Augusto (re di Polonia 1548-1572) emise l'editto di Parczòw, che stabiliva l'espulsione di tutti gli stranieri non cattolici. L'ennesima emigrazione portò l'oramai vecchio (78 anni) e deluso riformatore a Slavkov (Austerlitz), in Moravia, presso Niccolò Paruta, in casa del quale O. morì nel febbraio 1565.
Alcuni autori hanno voluto vedere in quest'ultima residenza una tardiva conversione all'anabattismo o al hutterismo, è più probabile che si trattasse semplicemente del desiderio di trovare l'ospitalità presso un connazionale antitrinitario, dottrina alla quale egli si era già uniformato, secondo quanto riferito da Marcantonio Varotta.