Varotta (o Verotti o Barotta), Marcantonio (m. 1568)

Marcantonio Varotta (o Verotti o Barotta), figlio di Nicolò Varotta, nato a Venezia, era un pittore di stendardi d'oro e, in seguito, divenne un tessitore di taffettà (tessuti di seta). Nel maggio 1564 si recò a Lione per arruolarsi come mercenario nelle guerre religiose in Francia, ma, scoppiata la pace, decise, per curiosità, di visitare Ginevra. Qui incontrò il nobile concittadino Andrea da Ponte (1508-1585, fratello del futuro doge Niccolò da Ponte), il marchese di Vico Galeazzo Caracciolo ed il lucchese Niccolò Balbani, le cui prediche lo convinsero a diventare calvinista.

Nel 1565 V. tornò in Italia, dapprima a Torino, poi a Milano, Lodi, Mantova, ed infine a Venezia, mantenendo comunque una notevole discrezione sulla propria nuova fede. A casa sua invece non fece mistero ad amici e parenti sul suo credo religioso e tutti si prodigarono inutilmente a cercare di riconvertirlo. Per paura di essere denunciato all'Inquisizione, dopo poco, V. riprese il suo pellegrinare per l'Italia, visitando Padova, Piacenza, Milano, Roma, Siena. Alla fine dell'aprile 1566, dopo un breve rientro a Venezia, V. ripartì per arruolarsi come mercenario in Ungheria, ma, essendosi ammalato, si fece congedare e sulla strada per Cracovia, si fermò ad Austerlitz, in Moravia. Qui, nell'autunno 1566, V. fu ospitato da Niccolò Paruta, che gli raccontò della morte di Bernardino Ochino in casa sua e che cercò inutilmente di convertirlo all'anabattismo.

Il soggiorno ad Austerlitz fu fonte di delusione e di disgusto per l'artigiano veneziano a causa della proliferazione e della litigiosità delle sette, di cui fece un dettagliato elenco durante il suo interrogatorio: c'erano Fratelli Boemi, luterani, calvinisti, anabattisti, hutteriti, sabbatariani, ariani, svizzeri (si suppone intendesse zwingliani) e samosateni e giuseppini, cioè due varianti di antitrinitariani. Egli abbandonò quindi la Moravia per Vienna, dove, forse temendo di morire per una malattia, si decise di confessarsi presso il convento domenicano, il priore del quale lo esortò a presentarsi all'Inquisitore di Udine Santo Cytinio.

Processato nel tribunale dell'Inquisizione a Udine, rese una dettagliata confessione il 21 gennaio 1567, abiurando e ritornando al Cattolicesimo. Tuttavia la macchina dell'Inquisizione, messa in moto dalla sua spontanea confessione, non si accontentò dell'abiura: V. fu infatti spedito a Roma, dove il processo si concluse con la pena capitale per impiccagione, seguita dal rogo, eseguita a Ponte Sant'Angelo il 6 dicembre 1568.