Francesco Stancaro (o Stancari) nacque a Mantova nel 1501 circa, ma si hanno pochissime notizie sulla famiglia d'origine e sulla sua gioventù, fuorché il fatto che S. entrò in convento e successivamente diventò un prete, dedicando, tuttavia, la maggior parte del suo tempo agli studi scolastici e umanistici. In breve tempo S. divenne un vero esperto della lingua ebraica e nel 1530 scrisse la sua opera De modo legendi Hebraice institutio brevissima.
Nel 1540 fu assunto come professore d'ebraico a Padova, dove si sposò e, con la moglie, si convertì in quegli anni alla fede evangelista. Tuttavia poco dopo S. fu arrestato dall'Inquisizione e detenuto per qualche mese a Venezia, da dove però riuscì a fuggire prima che iniziasse il processo: il mantovano si rifugiò a Chiavenna, aiutando Francesco Negri a creare una comunità evangelista locale.
Nell'estate 1544 fece domanda di ammissione all'università di Vienna e qui fu nominato docente di ebraico in ottobre, tuttavia nel marzo 1546 dovette lasciare la città per decreto imperiale, perché si era sparsa la notizia che era ricercato per eresia. Nello stesso anno, S. incontrò Bernardino Ochino ad un dibattito pubblico a Regensburg (Ratisbona) e questi gli procurò un lavoro di docente ad Augsburg (Augusta). Tuttavia, dopo la sconfitta dei protestanti della lega Smalcaldica nella battaglia di Muhlberg il 24 aprile 1547, S. e Ochino fuggirono a Basilea, dove S. ottenne un dottorato in teologia e perfino pubblicò una grammatica di lingua ebraica, ma, nonostante i buoni offici di Celio Secondo Curione, egli non riuscì a procurarsi un posto di docente all'università e dovette quindi ritornare a Chiavenna. Vi giunse in piena polemica sull'opportunità dei sacramenti tra il pastore riformato Agostino Mainardi e l'antitrinitario Camillo Renato, nella quale S. intervenne, accusando Mainardi di troppa ortodossia, e troppo poco dialogo.
Alla fine del 1548 S. fu raccomandato per un posto all'università di Cracovia, in Polonia, dove si trasferì nell'autunno 1549, ma già nel marzo 1550 egli fu denunciato e arrestato a causa degli insegnamenti eterodossi, durante una lezione sui Salmi. Fu tradotto nel carcere di Lipowitz, ma ne fuggì tre mesi dopo, dapprima presso un amico della nobiltà locale e poi a Pinczów. Qui, nell'estate 1550, S. iniziò la sua attività come riformatore nella "Piccola Polonia" e stese il suo programma di riforma in 50 punti riguardanti dottrina, stato ecclesiastico, scuola e sinodi, e noto come Canones reformationis ecclesiarum Polonicarum, pubblicato a Francoforte nel 1552. Nell'ottobre dello stesso anno S. partecipò al sinodo di Pinczów, ma fu espulso dal paese in seguito ad un editto del 12 dicembre 1550 del re Sigismondo II Augusto (1543-1572).
S. emigrò quindi a Köningsberg, nel ducato di Prussia, creato nel 1525 da Alberto di Brandeburgo-Ansbach, e qui nel maggio 1551 egli fu nominato professore di lingua ebraica alla locale università, ma solo pochi mesi dopo, egli fu coinvolto nella polemica sorta tra Andreas Osiander e Joachim Moerlin (1514-1571) sulla giustificazione per fede. Non solo S. parteggiò per Moerlin, ma osò anche confrontarsi con il duca Alberto per essersi schierato con Osiander. Il risultato fu che il 15 agosto del 1551, S. dovette cessare le sue lezioni e nuovamente emigrare per andare a vivere a Kuestrin, vicino a Francoforte sull'Oder, dove scrisse le proprie argomentazioni contro Osiander nella sua Apologia contra Osiander. Le sue idee sul Cristo intermediatore incontrarono immediatamente l'ostilità dei teologi brandeburghesi e il 10 ottobre 1552 S. dovette dibattere pubblicamente la sua posizione con Wolfgang Musculus (nome umanistico di Wolfgang Müslin o Mäuslin) (1497-1563).
Il mantovano cercò inutilmente alleanze con Melantone, ma isolato e criticato, decise di lasciare Francoforte e ritornare in Polonia, ma anche qui le inimicizie lo costrinsero nel novembre 1554 a cercare migliore fortuna in Ungheria, dove poté finalmente vivere tranquillamente per i cinque successivi anni, protetto da Péter Petrovics, tutore del giovane Giovanni Sigismondo di Transilvania (1540-1571). Alla morte del Petrovics, venendo a mancare il suo influente protettore, S. decise di ritornare in Polonia nel maggio 1559. Eppure già poco dopo il suo rientro S. pubblicò uno scritto (Collatio .. doctrinae Arrii, et Philippi Melanchthonis), nel quale affermò che Melantone era d'accordo con la dottrina dell'eresia ariana: si scatenò una reazione molto dura da parte di vari personaggi (tra cui Francesco Lismanini (1504-1566), collaboratore di Giorgio Biandrata), che fecero convocare un sinodo a Wlodzislaw il 28 giugno 1559 con l'ovvia conclusione che il lavoro di S. fu severamente condannato e le copie bruciate pubblicamente.
S. reagì dichiarando che lui era l'unico non ariano in tutta la Polonia e disse provocatoriamente che 100 Lutero, 200 Melantone, 300 Bullinger, 400 Vermigli e 500 Calvino, pestati per bene in un mortaio, non avrebbero prodotto neanche un grammo di vera teologia! Poco dopo, in agosto, Lismanini e Jan Laski (di cui si racconta che, infuriatosi per le argomentazioni del mantovano, gli avesse lanciato contro una Bibbia durante i lavori del sinodo!) convinsero i partecipanti al sinodo di Pinców di condannare gli insegnamenti di S., nei quali essi ravvisavano un revival dell'eresia modalista e di quella nestoriana e di respingere ogni possibile disputa pubblica sull'argomento.
Nel frattempo S. sviluppò una sua propria Confessione di Pinców, ma dovette lasciare la città polacca per mettersi sotto la protezione di Stanislaw Stadtniecki in Dubiecko, che però lasciò nel 1562 per Stobnica. Nonostante un'ulteriore condanna delle sue dottrine nel sinodo di Ksionz del settembre 1560, S. concepì nella primavera 1561 la creazione di una comunità autonoma, dalla vita però abbastanza breve, i.e. circa 10 anni. Infatti già dal 1567 diversi fedeli della comunità di S. chiesero di ritornare all'ortodossia e di essere riammessi nella Chiesa riformata, fino all'atto finale nel 1570, quando anche gli ultimi sette pastori lo abbandonarono. Visto il fallimento del suo esperimento, lo stesso S. abiurò le proprie idee e si riconciliò con la Chiesa riformata alla convenzione di Olesnica.
Si ritirò in pensione poco dopo e morì a Stopnica il 12 novembre 1574.
Contro gli insegnamenti sulla giustificazione per fede di Osiander, S. sviluppò una dottrina basata sull'intermediazione di Cristo. Facendo riferimento agli insegnamenti di Pietro Lombardo (ca. 1100-1160), S. cercò di dimostrare che Gesù poteva essere il Cristo, cioè il mediatore con Dio Padre, solamente nella sua natura umana.
Ma, facendo così, S. fu accusato di nestorianesimo, la dottrina del Patriarca di Costantinopoli del V secolo basata sul convincimento che esistessero due persone separate nel Cristo incarnato, l'uno Divino e l'altro umano, cioè le due nature erano solo congiunte, mentre era negata sia l'unione ipostatica fra le due nature, come affermato dalla scuola ortodossa alessandrina, che la prevalenza della natura divina, tipica del monofisismo.
S. dovette anche subire l'accusa di modalismo, la dottrina del II-III secolo che affermava che le persone della Trinità non erano altro che "modi" di essere e di agire dell'unico Dio, a maggior ragione rinforzata dall'idea di S. di reintrodurre il testo originario del Credo di Costantinopoli del 381, dove si faceva menzione dello Spirito Santo discendente dal Padre, ma non dal Figlio.
D'altra parte, pur insistendo sulla sua dottrina di Gesù Cristo intermediario, S. rimase sostanzialmente ortodosso nel suo credo riformato e respinse sempre fermamente le teorie dei suoi compatrioti anti-trinitari, come Fausto Sozzini, Matteo Gribaldi Mofa e Giorgio Biandrata. S. era comunque, nonostante tutto, convinto sul dogma della Trinità e dell'insegnamento sulla doppia natura del Cristo.