Renato, Camillo (o Paolo Ricci o Lisia Fileno o Fileno Lunardi) (ca.1500-1575)

La vita

Paolo Ricci, meglio conosciuto come Camillo Renato, nacque nel 1500 ca. in Sicilia, probabilmente a Palermo, ma si hanno poche notizie sulla prima parte della sua vita: si sa in ogni caso che diventò frate minorita. Va precisato inoltre che, a parte la regione d'origine ed una certa misteriosità sulla prima parte della sua vita, R., contrariamente alle convinzioni di alcuni autori, non ha nulla in comune con il corregionale Giorgio Rioli (detto Giorgio Siculo).

In seguito R. frequentò i circoli evangelici di Juan de Valdès a Napoli e visse a Venezia, mentre dalla fine degli anni '30 del XVI secolo egli pose il suo campo d'azione nell'Emilia, nel triangolo compreso fra Bologna, Modena e Ferrara. A Bologna, probabilmente sotto lo pseudonimo dello studente di diritto Fileno Lunardi, R. poté approfondire i suoi studi del pensiero di Erasmo da Rotterdam, insieme agli agostiniani Giulio Della Rovere, Ortensio Lando e Ambrogio Cavalli, e all'umanista abruzzese Giovanni Angelo Odoni. Abitò inoltre a Modena, dove l'Accademia del Grillenzoni fece da centro di diffusione delle sue idee. R. infatti già iniziava ad esprimere alcune sue tipiche idee radicali, come l'opposizione del culto dei santi e della Madonna, e la negazione del valore dei sacramenti.

Inoltre, tra i primi in Italia ad interessarsi all'anabattismo e all'antitrinitarismo, R. aveva letto i testi di Miguel Serveto e sembra che avesse, intorno al 1550, convertito all'anabattismo il misterioso Tiziano, pare un ex frate friulano e poi mercante ed uno dei più attivi propagatori dell'anabattismo.

Quando finalmente si decise a convertirsi alla dottrina riformata (seppur con una serie di importanti distinguo), R. decise di cambiare il proprio nome in Camillo Renato, proprio per sottolineare la sua "rinascita". Ma, con l'avanzare del suo radicalismo religioso, aumentarono anche i guai giudiziari: nel 1540 a Modena, sotto lo pseudonimo di Lisia Fileno, aveva dovuto fare una pubblica ritrattazione delle sue idee e nel 1542 R. fu arrestato a Ferrara per eresia. Per sua fortuna, Renata di Francia intercesse per farlo uscire da prigione: libero, R. prese immediatamente la via dell'esilio per la Valtellina, insieme a Celio Secondo Curione. In Valtellina, ai tempi parte del territorio elvetico del Cantone Grigioni, R. divenne dapprima tutore dei figli di Raffaele Pallavicini a Caspano, vicino a Morbegno, poi, nel 1545 fu maestro di scuola nella vicina Traona e infine visse a Vicosoprano, in Val Bregaglia.

Nel 1546 fece un viaggio a Vicenza per partecipare ai Collegia Vicentina, dove si riunirono i principali anabattisti e antitrinitariani veneti dell'epoca.

Ritornato in Valtellina, nel 1547 R. si trasferì a Chiavenna, il centro più importante per la Riforma nei cantoni svizzeri di lingua italiana, dove conobbe Lelio Sozzini, ma qui, dopo un breve periodo iniziale di simpatia reciproca, egli entrò in rotta di collisione con il pastore riformato Agostino Mainardi, che, nell'esercizio delle sue funzioni, si sentì in dovere di contestare le pericolose idee protocristiane e anabattiste, che R. propagandava presso la popolazione delle vallate valtellinesi. Infatti nel 1548, come reazione all'avanzata delle idee troppo estremiste del pensatore siciliano, Mainardi, eccessivamente rigoroso, cercò di obbligare tutti i fedeli della Chiesa riformata di Chiavenna di giurare fedeltà ad una Confessione di Fede, che egli si era fatto approvare dalle autorità religiose di Coira, Zurigo e Basilea. L'azione gli alienò l'amicizia con Francesco Negri da Bassano, con il quale aveva avuto dei buoni rapporti fino a quel momento e che provocatoriamente si rifiutò di far battezzare il suo neonato se prima Mainardi non avesse firmato una Confessione di Fede redatta da Negri stesso, e con Francesco Stancaro, che accusò Mainardi di troppa ortodossia, e troppo poco dialogo, in questa diatriba sorta sull'opportunità dei sacramenti.

La lunga e amara controversia sulla Cena del Signore con Mainardi, ebbe un amaro epilogo per R. (magnus haereticus, secondo Mainardi): essendosi rifiutato di cessare di propagare le sue dottrine egli fu scomunicato il 6 luglio 1550. Del resto, anche in una lettera scritta un mese dopo (il 3 agosto 1550) da Altieri d'Aquila a Heinrich Bullinger (curiosamente anche lo stesso R. aveva una vasta corrispondenza con il riformatore svizzero) l'ex diplomatico definì R. anabaptistarum patronus, vale a dire protettore degli anabattisti. A R. non rimase che ritirarsi in un punto non meglio precisato della Valtellina, dopo aver polemicamente pubblicato un elenco di 125 errori, scandali, contraddizioni vari di Mainardi dal 1545 in poi.

Di R. non si sentì più parlare eccetto che nel 1554, quando, indignato per l'esecuzione sul rogo di Michele Serveto, R. scrisse a proposito un lungo poema, De injusto Serveti incendio e lo inviò a Calvino in persona. In vecchiaia, da una testimonianza del 1560, pare fosse diventato cieco e morì nel 1575, sempre in Valtellina.

Il pensiero

Il punto essenziale del pensiero mistico spirituale di R., espresso nel suo Trattato del Battesimo e della Santa Cena, scritta in italiano (cosa rara all'epoca), era la vera rinascita spirituale del credente, che si sentiva unito in spirito e carità con gli altri fedeli in un unico corpo mistico. Il tutto rendeva per R. ovviamente superfluo ogni sacramento e manifestazione esteriore e utilitaristica della religione cristiana. Da ciò quindi derivava il principale motivo del contendere con Mainardi: l'idea di considerare la Cena del Signore come una semplice memoria della morte di Cristo e, similmente, il Battesimo come una mera affermazione della fede individuale d'ogni credente. D'altra parte, questa poca importanza attribuita, o addirittura rifiuto del Battesimo (vedi anche lo scritto Adversus baptismum del 1548), mette in serio dubbio una supposta appartenenza di R. al movimento anabattista.

Inoltre per R., le anime, dopo la morte, non godevano subito della vita ultraterrena, ma stavano in uno stato di sonno fino al giorno del Giudizio Universale, un concetto che accosta curiosamente R. ad un papa medioevale molto criticato: Giovanni XXII! Questi aveva infatti incautamente dichiarato nel 1331 che le anime dei morti in grazia di Dio avrebbero goduto della "visione beatifica" non subito dopo la morte, come affermava la tradizione, ma solo alla resurrezione dei morti e che, nell'attesa, essi avrebbero dormito godendo del conforto di Cristo "sotto l'altare". L'affermazione del papa fu condannata dai teologi dell'Università di Parigi nel 1333.

I seguaci

R. influenzò diversi pensatori e riformati dell'epoca, di cui si possono citare, a parte l'ebraista Francesco Stancaro, sopra menzionato: il bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605), coinvolto nel 1549-50 in un processo per eresia, proprio come presunto seguace di R.; il pastore di Casaccia (in Val Bregaglia, nell'attuale cantone Grigioni) e scrittore Bartolomeo Silvio di Cremona; il medico Pietro Bresciani di Casalmaggiore.