Rioli, Giorgio (Siculo, Giorgio) (ca. 1517-1551) e i georgiani

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La copertina del libro di Adriano Prosperi

"L'eresia del Libro Grande, storia di Giorgio Siculo e della sua setta"

Editore Feltrinelli

La vita

Né con la Chiesa Cattolica, né con i Protestanti: Giorgio Rioli  iniziò questa sua scomoda avventura di dissidente isolato, nascendo nel 1517 circa a San Pietro Clarenza, sulle pendici dell'Etna, in provincia di Catania.

Della prima parte della vita di quest'uomo, più universalmente noto come Giorgio Siculo (che, contrariamente alle convinzioni di alcuni autori, non ha nulla a che fare con il corregionale Camillo Renato), non si conosce praticamente nulla fino alla sua ammissione nel monastero benedettino di San Niccolò l'Arena di Catania il 24 febbraio 1534, dove conobbe e diventò amico del confratello Benedetto Fontanini da Mantova, l'autore dell'arcinoto Beneficio di Christo, residente nel monastero di Catania tra il 1537 ed il 1543.

R. fu un uomo indubbiamente carismatico, ma di scarsa cultura: scriveva in dialetto siciliano e, per poter rendere i propri testi più leggibili, necessitò spesso di traduzioni in italiano o in latino fornite da parte dei confratelli, o il sopramenzionato Benedetto Fontanini o Luciano degli Ottoni (m. 1552), noto anche come Luciano da Mantova, abate di Santa Maria di Pomposa e uno dei suoi più convinti seguaci.

Alla fine del 1546 egli cercò di intervenire nei lavori del Concilio di Trento (1545-1563), inviando il suo De iustificatione ad Ottoni, poi cercando di farsi ricevere direttamente dal cardinale Reginald Pole, per presentare le sue dottrine profetiche ed apocalittiche.

Poco dopo, nel 1548 esplose il caso di Francesco Spiera, l'avvocato di Cittadella, che aveva dovuto abiurare dal suo credo luterano, ma che, in seguito, ne era morto per il rimorso. R., dopo il tentativo d'intervento al concilio di Trento, era comunque rimasto in zona, e più precisamente a Riva di Trento, dove dedicò ai fedeli della cittadina una predica quaresimale sul caso Spiera, da cui fu tratta la sua opera più nota, l'Epistola di Georgio Siculo (.).

Ma, solo qualche mese dopo, nel settembre 1550, mentre stava predicando contro i luterani a Ferrara, fu arrestato con l'accusa d'eresia. Da una parte non poteva certo contare sull'appoggio degli evangelisti e riformatori, i quali, come Giulio Della Rovere o Celio Secondo Curione o perfino lo stesso Calvino, lo avevano (o lo avrebbero) attaccato duramente nei loro scritti, dall'altra il cardinale Ercole Gonzaga (1505-1563) aveva coinvolto il cugino duca Ercole II d'Este (1534-1559) per poter punire esemplarmente il monaco benedettino e reprimere il più possibile la setta dei seguaci del "Don Georgio impio heretico", come R. stesso fu definito da un inquisitore. Perfino l'Inquisizione romana s'interessò a lui e ne chiese inutilmente l'estradizione, ma il duca di Ferrara si assicurò che il processo si svolgesse sotto la sua giurisdizione.

Durante il processo R. dichiarò la sua decisione di abiurare, e quindi fu ordinato che dovesse farlo pubblicamente il 30 marzo 1551 nella chiesa di San Domenico a Ferrara, davanti all'Inquisitore fra' Michele Ghisleri da Alessandria (il futuro Pio V: papa dal 1566 al 1572) e ad Ercole II d'Este, ma sorprendentemente, considerando che egli era stato uno strenuo difensore dell'atteggiamento nicodemitico, R. si rifiutò. A quel punto, il suo destino era segnato: riportato in carcere, due mesi dopo R. vi fu strangolato, la sera del 23 maggio 1551.

Le opere

Detto del De iustificatione del 1546, il libro di R. che ebbe la maggior diffusione, ma che sollevò anche un grande scalpore, fu l'Epistola di Georgio Siculo servo fidele di Iesu Christo alli cittadini di Riva di Trento contra il mendatio di Francesco Spiera et falsa dottrina de' protestanti, stampata nel 1550 a Bologna. Benché all'apparenza sembri un testo cattolico tutto proteso contro la dottrina calvinista della predestinazione e di quella luterana della giustificazione per sola fede, il testo anelava invece, similmente alla "terza via cristiana", e cioè al pensiero anabattista e antitrinitario (quest'ultimo secondo la dottrina di Miguel Serveto), alla palingenesi o apocatàstasi, la salvezza per tutta l'umanità, grazie all'opera redentrice del Vangelo trasmesso da Cristo morto in croce e per mezzo della Grazia di Dio.

Poco dopo, nello stesso anno, comparve il suo Espositione.nel nono decimo et undecimo capo della Epistola di San Paolo alli Romani, con un suo commento sulla lettera paolina più discussa dai luterani.

Gli altri suoi pensieri, noti in forma orale durante la sua vita, furono pubblicati postumi in un libro, latinizzato da Luciano degli Ottoni, con il titolo di Libro maggiore o Libro grande o Libro della verità christiana et dottrina apostolica.

La dottrina

Profetico, mistico e apocalittico, R. raccontava ai suoi seguaci che Cristo gli era apparso in persona per comunicargli che tutti i sacramenti erano completamente inutili (anche il Battesimo, ed in questo si differenziava dagli anabattisti) e che l'unica cosa che poteva rimettere i peccati era la fede nel Signore.

R. inoltre negava l'autorità papale, la gerarchia ecclesiastica, il culto della Vergine e dei santi, il valore meritorio delle opere, la messa, le indulgenze, la presenza reale nell'Eucaristia, ma esaltava la ragione e la dignità della natura umana.

Indipendente e critico delle correnti principali del protestantesimo, R. favoriva una religiosità semplificata e spirituale: per lui, era preferibile mantenere una certa indifferenza di fronte alle professioni di fede e anzi perfino accettare esteriormente una confessione religiosa, soprattutto quella cattolica, anche se non vi si credeva. Da qui le pesanti accuse di nicodemismo lanciate da Calvino.

I seguaci

Le idee di R. ebbero un certo seguito negli anni successivi ed influenzarono diversi dissidenti e seguaci, denominati georgiani, come:

  • Il già citato Luciano degli Ottoni, che dovette dimettersi dall'incarico di abate di Pomposa e fu processato nel 1552, ma che morì alla fine dello stesso anno.

  • Il medico e poeta di Argenta Francesco Severi, che fu decapitato e arso a Ferrara nel 1570,

  • Il prete e letterato ferrarese Nascimbene Nascimbeni (m. dopo 1578), che abiurò per opportunità nel 1551 e nel 1560, ma che nel 1570 si presentò spontaneamente agli Inquisitori, permettendo di riaprire il procedimento decisivo a carico dei seguaci di S. oramai vent'anni dopo la morte del loro capostipite.

  • Francesco Pucci, curiosamente considerato l'erede del pensiero di R. pur non avendolo mai conosciuto.