Vermigli, Pier Martire (o Pier Paolo) (1499-1562)

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Pier Martire Vermigli

 

I primi anni

Il famoso teologo Pier Martire Vermigli nacque a Firenze l'8 settembre 1499 (altri testi citano la stessa data ma riferita al 1500 o perfino l'8 maggio 1500) primo di tre figli di una famiglia di ceto medio: il padre Stefano faceva il calzolaio e la madre Maria Fumantina, una donna di buona cultura, poté insegnare le prime nozioni di cultura al giovane Pier Martire.

Questo non comune nome di battesimo gli fu imposto dal padre, per grazia ricevuta per la nuova nascita dopo la morte dei suoi primi figli, in ricordo di San Pietro Martire da Verona (ca. 1200-1252), un ex-cataro, convertitosi al cattolicesimo e diventato domenicano, Inquisitore Generale e feroce persecutore dei suoi antichi compagni di fede: distrusse la tomba di Nazario, vescovo della Chiesa dualista di Concorezzo, ma venne ucciso a Giussano, vicino a Milano, da alcuni sicari nel 1252.

Ritornando al giovane V., egli, all'età di 15 anni, entrò nel convento di San Bartolomeo del Canonici regolari lateranensi (agostiniani) a Fiesole, ed in seguito al convento di San Giovanni di Verdara, vicino a Padova, presso la cui università poté frequentare la facoltà di teologia. Nel 1526 circa V. si laureò in teologia, fu ordinato sacerdote e nominato predicatore agostiniano e con questo nuovo incarico, si recò a Brescia, Pisa, Venezia e Roma, mentre, contemporaneamente, studiava greco antico ed ebraico.

V. a Napoli

Nel 1530 V. fu nominato vicario del priore del convento agostiniano di Bologna, dove frequentò l'ambiente erasminiano locale, nel 1533 abate di quello di Spoleto ed infine, nel 1537, priore del convento di San Pietro ad Aram a Napoli. Qui V. entrò in contatto con il circolo evangelico, raccolto intorno a Juan de Valdés, dove conobbe e divenne amico del predicatore cappuccino (e futuro Vicario Generale dell'ordine) Bernardino Ochino, e di cui fecero parte importanti riformati italiani, come Pietro Carnesecchi, Marcantonio Flaminio, Giovanni Bernardino Bonifacio, Benedetto Fontanini da Mantova, Galeazzo Caracciolo, Bartolomeo Spadafora, Apollonio Merenda, Vittore Soranzo, e le nobildonne Vittoria Colonna, Giulia Colonna Gonzaga e Caterina Cybo da Camerino.

L'orientamento delle prediche di V. a Napoli, rafforzata dai commentari ai Vangeli e ai Salmi di Bucero e dal De vera et falsa religione di Zwingli, si volse sempre più verso interpretazioni evangeliche dei testi sacri: significativa fu la chiave di lettura che V. diede al seguente passo della Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi (3:14-15): "Se l'opera di qualcuno che ha costruito sopra rimarrà, egli ne riceverà la ricompensa, se l'opera di qualcuno invece sarà consumata dal fuoco, ne avrà danno, però si salverà, ma come attraverso il fuoco".Nell'interpretazione canonica cattolica, infatti, questo brano confermava l'esistenza del purgatorio, mentre per V. questo brano non dimostrava niente, anche perché dalla lettera paolina si evinceva che tutti dovevano passare attraverso il fuoco, e non soltanto alcuni, come precisava la dottrina cattolica del purgatorio.

V. a Lucca

Comunque per un certo periodo a V. fu proibito di predicare a Napoli, ed il divieto venne tolto solo dopo una supplica direttamente al papa Paolo III (1534-1549), tuttavia, nel 1541, V. fu trasferito al convento di San Frediano a Lucca. Anche a Lucca V. continuò il suo impegno evangelico, influenzando i confratelli Girolamo Zanchi e Massimiliano Celso Martinengo ed alcuni discepoli esterni al convento, come Niccolò (di Alessandro) Diodati (1511-1544), padre di Pompeo Diodati, che convertì alla Riforma, e Celio Secondo Curione, che chiamò al convento per dare una decisa svolta qualitativa all'insegnamento dei novizi. Infatti la sua attività instancabile volta al miglioramento culturale del convento di San Frediano fece di quest'ultimo un punto di riferimento per la città toscana, soprattutto nella diffusione della fede riformata.

A questo periodo risalì la sua Una semplice dichiarazione sopra i dodici articoli della fede cristiana, per la quale fu sospettato di eresia e convocato nel 1542 dal capitolo dell'ordine a Genova. Oltretutto, proprio nel 1542, il 21 Luglio, fu emessa la famosa bolla papale Licet ab initio di Papa Paolo III, quella che istituì la Congregazione del Sant'Ufficio, o Inquisizione, com'è più nota. La bolla menzionava la situazione di Lucca, centro di diffusione di testi luterani: V., quindi, sentendo montare il clima di repressione, preferì fuggire, con alcuni confratelli come Paolo Lasize e Emanuele Tremellio (ca. 1510-1580), dapprima a Pisa, poi a Firenze da Ochino, ed infine, sempre braccato dall'Inquisizione, decise di espatriare, assieme al Vicario Generale dei Cappuccini, in Svizzera, a Basilea. A proposito della fuga dei due noti predicatori in Svizzera, Marcantonio Flaminio commentò pubblicamente nell'autunno 1542 "ch'erano partiti gli apostoli d'Italia" .

Nel convento di San Frediano a Lucca, la sua fuga non compromise comunque la sua attività evangelica, precedentemente iniziata: in sua assenza, Zanchi e Martinengo, che insegnavano rispettivamente teologia e greco antico, continuarono nella loro opera riformista. In seguito, ambedue avrebbero deciso, nel 1551, di andare in esilio in Svizzera, sempre per motivi religiosi.

Primo soggiorno di V. in Svizzera e a Strasburgo

Da Basilea V. accolse l'invito di Bucero di trasferirsi a Strasburgo, dove visse dal 1542 al 1547 e dove scrisse una lettera aperta ai lucchesi, dal titolo De fuga in persecutione, ribadendo il suo convincimento nel concetto protestante della sola fide. A Strasburgo V. insegnò Antico Testamento all'università e si sposò con Caterina Dammartin, un'ex suora di Metz (in Francia). Tuttavia, dopo la sconfitta dei protestanti della lega Smalcaldica nella battaglia di Muhlberg il 24 aprile 1547, V. ritenne più prudente allontanarsi da Strasburgo e quindi, assieme ad Ochino, egli accettò l'invito ad andare in Inghilterra.

V. in Inghilterra

L'invito gli era stato fatto da parte di John Dudley (1502-1553), conte di Warwick, Lord Protettore e reggente del trono del re minorenne Edoardo VI (1547-1553), ma soprattutto da parte dell'arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer. Questi aveva commissionato il Book of Common Prayer (il libro delle preghiere) per semplificare i libri di preghiere e di funzioni religiose in latino e risalenti al periodo medioevale. Il testo, pubblicato poi nel 1549, fu reso obbligatorio da parte dell'Atto di Uniformità del 1549 stesso, ma la sua definizione dottrinale definitiva, avvenuta nel 1552, fu resa possibile solo grazie alle diverse personalità della Riforma svizzera zwingliano-calvinista, che furono chiamate, in quel periodo, in Inghilterra e che diedero il proprio contributo: Martin Bucero (che finì i suoi giorni a Cambridge nel 1551), il polacco Jan Laski e il nostro V., a cui fu offerta la cattedra di Regius Professor di teologia all'università di Oxford, che tenne fino al 1553.

Nello stesso periodo V. intervenne in diverse dispute religiose del momento, come nella disputa del 1549 ad Oxford sull'eucaristia: egli infatti aveva abbandonato il concetto luterano della consustanzialità (secondo il quale vi era la reale e sostanziale presenza del corpo e sangue di Cristo nel pane e vino, che tutti i comunicandi ricevevano, che fossero degni o indegni, credenti o miscredenti) per aderire a quello calvinista della reale partecipazione nell'eucaristia alla carne e al sangue di Gesù Cristo (ma ciò, per Calvino, non significava una presenza locale di Cristo nell'Eucaristia, poiché Egli poteva essere solo in cielo).

V. intervenne inoltre in altre decisioni, come le leggi ecclesiastiche inglesi (Reformatio Legum Ecclesiasticarum) del 1551-53 e la formulazione dei 42 articoli di religione del 1553, che approvarono la giustificazione sola fide e sola scriptura, mentre venivano rigettati i concetti cattolici di purgatorio e transustanziazione.

Pur diventando popolarissimo in Inghilterra (anche oggigiorno il nome di V. è più conosciuto oltremanica che in Italia), anch'egli fu travolto dagli eventi del 1553, con la salita sul trono d'Inghilterra della regina cattolica Maria Tudor (1553-1558), detta la Sanguinaria per la feroce repressione del protestantesimo anglicano.

V. stesso dovette fuggire a Strasburgo, ancora affranto per la recente (17 febbraio 1553) morte della moglie ad Oxford: la salma di quest'ultima fu poi vittima di un atroce episodio (riportato da alcune fonti), che ebbe per protagonista, pare, il cardinale Reginald Pole, il quale ordinò che il corpo fosse dissotterrato nel 1557 e gettato in un letamaio! Ma in seguito alla salita al potere della regina Elisabetta I (1558-1603), ai poveri resti, ritrovati ed identificati, fu data una degna sepoltura nella cattedrale di Oxford.

Secondo soggiorno di V. a Strasburgo e in Svizzera

V. arrivò a Strasburgo, poco dopo la morte di Jakob Sturm (1489-1553), capo della Riforma calvinista, il cui successore, il predicatore luterano Johannes Marbach (1521-1581), pretendeva che tutti i docenti del collegio di San Tommaso sottoscrivessero la Confessio Augustana, di chiara ispirazione luterana.

I due teologi italiani, presenti in città in quel momento, V. e il suo ex discepolo Girolamo Zanchi reagirono in maniera diversa: Zanchi si rifiutò di firmare, preferendo il dialogo con tutte le componenti del protestantesimo, mentre V., a cui era stata offerta una cattedra al suddetto collegio di San Tommaso, sempre dietro accettazione della Confessio Augustana per iscritto, la firmò per proforma e convinse infine Zanchi a fare altrettanto.

Tuttavia Marbach, che aveva chiaramente capito di non essere riuscito a portare i due italiani sulla strada del luteranesimo, fece loro una guerra di logoramento psicologico finché, nel 1556, V. abbandonò Strasburgo per Zurigo, dove, accolto da Heinrich Bullinger, successe a Conrad Pellican (Pellicanus) (1478-1556), come professore di ebraico, e dove egli si risposò con un'italiana, Caterina Merenda, da cui ebbe tre figli. A Zurigo V. rincontrò il vecchio amico Bernardino Ochino, che era stato chiamato per fare il pastore di una comunità di riformati di Locarno, da dove erano fuggiti in massa per motivi religiosi.

Nella città svizzera V. si stabilì in maniera definitiva, pur accettando l'invito a partecipare, in supporto a Theodore de Bèze, ai colloqui (infruttuosi) tra cattolici e protestanti a Poissy, in Francia, nel 1561. Da Zurigo V. ebbe un cospicuo carteggio epistolare con Calvino, ma anche degli inviti, cortesemente declinati, di ritornare nell'Inghilterra elisabettiana o a Heidelberg, dove viveva il suo discepolo Zanchi. Aiutò inoltre il riavvicinamento dottrinale tra Zurigo e Ginevra, culminato poi nella Seconda Confessio Helvetica del 1566.

V. morì a Zurigo il 12 novembre 1562.

La dottrina

V. rappresentò la fase di transizione dai primi riformatori, dotati di forte carisma, allo sviluppo scolastico delle loro dottrine nel secolo successivo. Come già detto, formatosi con le letture di Bucero e Zwingli, V. rimase tenacemente legato alla dottrina svizzera calvinista, soprattutto per quanto concerne l'interpretazione data all'Eucaristia. Tuttavia non si può parlare di una vera e propria teologia di V., perché egli, uomo di grandissima cultura, fu soprattutto un esegeta biblico, sebbene egli inserisse degli approfondimenti nei suoi commentari. Questi furono in seguito raccolti dai suoi discepoli e pubblicati con lo stesso titolo di un lavoro di Melantone: Loci communes.

Infine V., nel suo soggiorno inglese, divenne famoso anche per il suo contributo decisivo all'ordinamento ecclesiastico britannico.