Sozzini (o Socini, Sozini, Sozzino, Socino o Socinus), Fausto Paolo (1539-1604) e Socinianesimo in Polonia

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Fausto Sozzini

 

I primi anni

Il famoso teologo antitrinitario Fausto Paolo Sozzini (o Socini: per le altre varianti del cognome, vedere il titolo), nome umanistico Faustus Socinus, nacque il 5 dicembre 1539 a Siena, primogenito del giurista Alessandro Sozzini (1509-1541) [a sua volta primogenito del giureconsulto Mariano Sozzini il giovane (1482-1556)] e di Agnese Petrucci, discendente di Pandolfo Petrucci (1452-1512), governatore di Siena dal 1487 al 1512.

Il piccolo Fausto, dopo la nascita della sorella Fillide (1540-1568), rimase nel 1541 orfano del padre, e dopo poco anche della madre. Egli fu allevato nella famiglia paterna senza un'educazione regolare, con un interesse più per le lettere che per la giurisprudenza (gli studi tradizionali della famiglia Sozzini), sotto lo stimolo culturale di suo zio Celso, professore di diritto a Bologna, e proprio in questa città Celso trasportò nel 1554 l'Accademia senese dei Sizienti, di cui S., pare, abbia fatto parte.

E' sicuro invece la sua adesione, nel 1557, all'Accademia senese degli Intronati, dove egli entrò con il nome di Frastagliato, sempre al seguito dello zio Celso, che aveva assunto il nome di Sonnacchioso. Le riunioni degli Intronati, votati alle discussioni sulla letteratura, lingua e religione furono per S. senz'altro più interessanti di quelle dei Sizienti, dedicati solo ad argomenti giuridici. Per sua fortuna, non dovette mai affidarsi ad un titolo di studi per vivere, perché, nel 1556, alla morte del nonno Mariano, S. poté disporre (per più di trent'anni) di una certa sicurezza economica, quando ricevette in eredità un quarto dei beni di famiglia.

Lo sviluppo del pensiero religioso di S.

I primi interessi religiosi eterodossi di S. gli furono trasmessi dallo zio Lelio, che, benché esule dal 1547 in Svizzera per motivi religiosi, ebbe la possibilità di rivisitare Siena e parlare col nipote nel 1552.  

Nel 1558 S. fu coinvolto nel processo per eresia a carico degli zii Celso e Camillo, segno di un graduale schieramento a favore delle scelte protestanti dei famigliari. Nel 1561 egli lasciò Siena per recarsi a Lione ufficialmente per impratichirsi nell'arte mercantile, ma nella città francese egli spese due anni della sua vita soprattutto ad approfondire le sue conoscenze religiose e a mantenere i contatti con lo zio Lelio, che abitava in Zurigo. Avvertito della morte di quest'ultimo, avvenuto il 14 maggio 1562, da parte del mercante Antonio Mario Besozzi (m. 1567), S. accorse a Zurigo per raccogliere gli scritti di Lelio, che poi usò per meditare e sviluppare la dottrina del pensiero sociniano: già nell'aprile 1563, rielaborando concetti di Lelio, S. aveva composto un commento all'incipit del Vangelo di San Giovanni, dal titolo Explicatio primae partis primi capiti Evangelii Johannis, dove però, rispetto allo zio, S. diede più forza al carattere spirituale di Cristo.

In seguito S. si stabilì per un breve periodo a Basilea (sebbene il suo nome fosse anche citato nell'elenco degli iscritti alla Chiesa degli Italiani a Ginevra), dove conobbe Celio Secondo Curione, amico dello zio Lelio. S. si recò anche a Zurigo, dove fu tuttavia coinvolto nell'espulsione, per le sue idee antitrinitarie, antiecclesiastiche e contro i Sacramenti, di Bernardino Ochino (da S. conosciuto nella città svizzera) da parte del riformatore Heinrich Bullinger nel dicembre 1563.

A questo punto S., nonostante fosse già abbastanza compromesso con la Riforma, prese la sconcertante decisione di ritornare in Toscana. Sulla strada di ritorno, passò per Chiavenna, dove fece visita all'amico e maestro Ludovico Castelvetro.

Il periodo fiorentino (1563-1574)

Effettivamente non è del tutto chiaro perché S. decidesse di rientrare in Italia, visto che poi, per la sua stessa incolumità, dovette osservare una prassi fortemente nicodemitica: per i successivi 11 anni (dal 1563 al 1574) si tenne per sé le sue intime elucubrazioni religiose.

S. si trasferì a Firenze ed entrò come segretario al servizio di Isabella de' Medici(1542-1576), figlia del granduca Cosimo I de' Medici (duca di Firenze: 1537-1569 e granduca di Toscana: 1569-1574), e del marito Paolo Giordano Orsini (1537-1585), accompagnando la sua protettrice a Roma nel 1571 e componendo poemi e sonetti, di cui i più ispirati furono quelli composto in onore della sorella Fillide, morta nel 1568 e di Ludovico Castelvetro, morto il 21 febbraio 1571, in cui S. dichiarò che il modenese gli aveva chiaramente mostrato la via da seguire: l'esilio (in terra protestante) e la palese professione di fede.

Nel frattempo (1568) fu stampato, sotto lo pseudonimo del gesuita Domenico Lopez, il suo scritto teologico De Sacrae Scripturae Autoritate, che, applicando i metodi della filologia moderna, introdotti da Lorenzo Valla, affermava l'autorità della Sacra Scrittura e l'eccellenza della religione cristiana. L'uso di uno pseudonimo fu probabilmente frutto di un accordo segreto con Cosimo I: il granduca avrebbe accordato la sua protezione, a patto che S. non pubblicasse i suoi scritti con il proprio nome. L'accordo proseguì anche con il successore di Cosimo, Francesco Maria (1574-1587) e garantì il regolare afflusso di proventi verso il paese estero, dove S. aveva, in volta in volta, stabilito la propria residenza.

Nonostante la dichiarazione in occasione della morte di Castelvetro e la pubblicazione del De Sacrae Scripturae Autoritate, S. prese la decisione di abbandonare per sempre l'Italia solo dopo la morte del Granduca Cosimo I de' Medici, avvenuta nell'aprile 1574. Del resto, due anni dopo, nel giugno 1576, avvenne una tragedia che avrebbe rinforzato la sua decisione: la sua protettrice, Isabella de' Medici, fu strangolata dal gelosissimo marito, che aveva saputo dell'esistenza di un amante della moglie [sebbene avesse lui stesso come amante Vittoria Colonna Accoramboni (1557-1585)]. Quindi nulla poté il nuovo granduca, Francesco Maria, fratello di Isabella, per convincere il senese a recedere dalla sua decisione. Tra l'altro, la scelta di S. era dettata dalla necessità di vivere in un ambiente, che gli permettesse di sviluppare con serenità e sicurezza i suoi studi sulle Scritture.

S. in Svizzera

Nella seconda metà del 1574, quindi, S. emigrò in Svizzera, a Basilea, dove i capi religiosi erano i tolleranti riformatori Theodore Zwinger (1533-1588) e Basilio Amerbach (1533-1591): per quest'ultimo lo zio Lelio aveva scritto una lettera di presentazione nel lontano 1547, quando lo svizzero aveva espresso il desiderio di recarsi in Italia per completare i suoi studi di giurisprudenza. A Basilea S. risedette per circa quattro anni, studiando le Sacre Scritture e soprattutto il problema della redenzione, sul quale argomento scrisse due trattati: la sua opera principale De Jesu Christo Servatore (Gesù Cristo salvatore), finita nel 1578, pubblicata parzialmente (ma senza il suo consenso) nel 1583 e interamente in Cracovia nel 1594, e il trattato De statu primi hominis ante lapsum (Sulla condizione del primo uomo prima della Caduta), sempre scritta nel 1578, ma pubblicata postuma nel 1610.

Il primo trattato, nato dalle discussioni con i riformatori Gerolamo Marliano, Giovanni Battista Rota (pastore della Chiesa italiana a Ginevra), Manfredi Balbani e Jacques Couët du Vivier (1547-1608), esponeva l'idea di S. a riguardo della redenzione: il punto principale della dottrina protestante della giustificazione per fede non era il sacrificio di Cristo compiuto per espiare i nostri peccati, bensì la rivelazione divina attraverso l'esempio della vita di Cristo, vero salvatore e redentore degli uomini.

Il secondo trattato, invece, s'inserì nella polemica in atto tra S. e Francesco Pucci, il pensatore utopistico che rigettava il concetto di peccato originale: secondo Pucci, l'uomo è immortale e si danna solo quando, razionalmente, devia dalla legge divina. Per S., che si confrontò con Pucci nel 1577 a Basilea in un incontro organizzato da Francesco Betti, l'uomo, essere mortale, si deve invece conquistare l'immortalità con la fede attiva.

S. in Transilvania

Una copia del manoscritto del De Jesu Christo Servatore giunse fino in Transilvania e attirò l'attenzione del riformatore antitrinitario e medico Giorgio Biandrata, che invitò S. a recarsi a Kolozsvàr (oggi Cluj in Romania) nel novembre 1578, per polemizzare con Ferenc Dàvid, il quale aveva aderito alla fazione degli antitrinitariani non-adoranti, coloro i quali negavano il ruolo di guida per i fedeli verso la salvezza del Cristo e rifiutavano, conseguentemente, ogni forma di adorazione di Gesù Cristo. A loro si contrapponevano gli antitrinitariani adoranti, che ponevano la figura di Cristo come riferimento per la salvezza degli uomini. Da qui si comprende l'interesse di Biandrata verso il trattato di S., che considerava Gesù Cristo colui il cui compito era di rivelare Dio agli uomini, i quali potevano così raggiungere la salvezza, seguendo il Suo esempio.

L'inattesa conclusione della discussione avvenne nel giugno 1579, quando, su denuncia di Biandrata, Dàvid fu fatto arrestare in giugno e imprigionare nella fortezza di Déva dove morì il 15 novembre dello stesso anno.

S. in Polonia

S. non prese, in ogni caso, parte attiva alla tragedia umana di Dàvid, perché, già nel maggio 1579, si era trasferito in Polonia, presso i Fratelli Polacchi, l'ecclesia minor di fede antitrinitaria (o unitariana) che aveva mantenuto le caratteristiche ariane (in particolare il concetto che Cristo era pre-esistito alla creazione del mondo e quindi era giusto adorarlo) e anabattiste, datale da Pietro Gonesio: fu soprattutto l'arrivo di S. che contribuì ad uniformare la dottrina sui principi proposti dal senese.

S. pose la sua residenza a Cracovia, sebbene il centro di riferimento per l'unitarismo polacco fosse la vicina cittadina di Raków, dove era stato fondato un seminario di studi antitrinitari nel 1569 e dove, tra il 1603 ed il 1605, sarebbe stato redatto il catechismo ufficiale della setta. Curiosamente S. non fece ufficialmente parte della Chiesa antitrinitariana di Cracovia, se non in tarda età, a causa del suo rifiuto di farsi ribattezzare (l'influenza anabattista era ancora molto forte sugli antitrinitariani polacchi) da parte del pastore Szymon Ronemberg.

Qui, però, riprese la polemica tra adoranti ed alcuni esponenti non-adoranti, come Giacomo Paleologo, Jànos Sommer (1540-1574), e Andrea Dudith Sbardellati: comunque, oltre alla solita diatriba se fosse giusto o meno adorare Gesù Cristo, con il suo De Jesu Christi filii Dei natura sive essentia, S. attaccò i non-adoranti come giudaizzanti, che volevano, tra l'altro, santificare il sabato, secondo un uso sabbatariano, che si sarebbe espanso in Inghilterra, portatovi proprio dagli antitrinitariani profughi dalla Polonia. Inoltre un altro punto di frizione con S. fu l'obbligo morale, secondo Paleologo, del cristiano nella difesa, anche prendendo le armi, del paese che offriva la sua ospitalità. S. era in totale disaccordo con questa tesi: per l'antitrinitariano senese, il cristiano, secondo l'interpretazione del Nuovo Testamento, non poteva versare il sangue di altri cristiani.

I toni della polemica furono così accesi che il medico Marcello Squarcialupi, amico di Biandrata, nel 1581 scrisse una lettera a S. per richiamarlo ad abbassare i toni della polemica, che danneggiava l'immagine degli esuli italiani. Comunque, a parte quest'episodio, S. mantenne sempre buone relazioni sociali con diversi esuli italiani in Polonia, soprattutto con Niccolò Buccella, che diventò suo amico fraterno e che nominò S. come uno dei suoi eredi, e con Prospero Provana, che lo ospitò spesso in sua casa.

Nel marzo 1583, temendo rappresaglie da parte del fronte cattolico polacco, S. decise di andare ad abitare nel villaggio di Pawlikowice (oggigiorno Roznów, sudest di Cracovia), ospite del nobile polacco Krzysztof Morsztyn, e ne sposò la figlia Elizabeth nel 1586. L'anno dopo nacque l'unica figlia di S., Agnese (1587-1654), ma, nello stesso anno morì la moglie. Il 1587 fu anche l'anno della morte del suo protettore in patria, Francesco Maria de' Medici, e, nonostante S. mantenesse apparentemente dei buoni rapporti con il nuovo granduca, Ferdinando I (1587-1609), l'Inquisizione a Siena gli sequestrò i beni, con l'accusa di eresia. Tuttavia la perdita di introiti dalla madrepatria fu parzialmente compensata dalla possibilità di pubblicare con il proprio nome le sue opere, poiché, come si è detto precedentemente, l'anonimato era la conditio sine qua non imposta prima da Cosimo I, poi da Francesco Maria de' Medici perché S. potesse continuare a ricevere i proventi delle sue proprietà di famiglia.

Nel 1588 S. riuscì nell'impresa di unire tutte le fazioni antitrinitariane al sinodo di Brest (Brzesc, in Lituania) e, in suo onore, da questo momento gli antitrinitariani si denomineranno sociniani. Oltretutto la crescente popolarità presso la nobiltà polacca e l'autorevolezza dei suoi interventi fecero sì che nel 1596 S. fosse nominato capo della Chiesa sociniana polacca.

Tuttavia la conseguenza fu che egli dovette fronteggiare una violenta reazione, anche di piazza, dei cattolici: nel 1591 il suo punto d'incontro a Cracovia fu devastato dalla folla, ma soprattutto, nel 1598, gli studenti universitari, sobillati dai gesuiti, fecero irruzione nella sua casa di Cracovia, mentre giaceva a letto ammalato: S. stesso fu malmenato e portato davanti al municipio, dove furono bruciati i suoi scritti e i suoi libri. Richiesto di abiurare, rifiutò e fu quindi trascinato via per essere annegato nel fiume Vistola, e solo il tempestivo intervento di un professore universitario, Martin Wadowit, gli salvò la vita.

Temendo quindi per altri attacchi di fanatici, S. si trasferì da Cracovia a Luslawice, un villaggio a nord di Tarnów, a 30 km. da Cracovia, ospite di Abraham Blonski, e qui iniziò, senza poterla finire, la stesura della bozza di un catechismo antitrinitariano, la Christianae religionis brevissima institutio, per interrogationes et responsiones, quam catechismus vulgo vocant, che fu la base del catechismo ufficiale, redatto, dopo la sua morte, dal fedele discepolo Piotr Stoinski junior (m. 1605), assieme a Valentinus Smalcius (1572-1622), Hieronymus Moskorzowski (m. 1625) ed altri, in polacco nel 1605. Il testo fu poi tradotto in tedesco nel 1608, in latino nel 1609, ed in inglese, a cura di John Biddle, nel 1652 con il titolo di The Racovian Catechisme (Catechismo di Raków), nome con il quale oggi è conosciuto nel mondo anglosassone unitariano.

S., ormai vecchio e sofferente per ripetute coliche e calcoli renali, morì a Luslawice il 4 marzo 1604. Dapprima sulla sua tomba fu posta la scritta Chi semina virtù, raccoglie la fama, e vera fama supera la morte, ma nel 1936 i suoi resti furono posti in un mausoleo, dove sulla sua tomba vennero scritte queste significative parole: Crolli la superba Babilonia: Lutero ne distrusse i tetti, Calvino le mura, Socini le fondamenta.

Il pensiero religioso

Secondo Marian Hillar, il nocciolo delle dottrine sociniane si riassumano in dieci punti:

  • Antitrinitarismo, o negazione del concetto tradizionale della Trinità.

  • Unitarianismo, o negazione della pre-esistenza di Gesù.

  • Il concetto della redenzione attraverso atti morali.

  • Il dualismo radicale: Dio e l'uomo sono radicalmente differenti.

  • Il primo uomo, Adamo, era mortale prima della Caduta.

  • Il concetto della religione come pratica di principi etici, per esempio la convinzione che gli insegnamenti morali di Cristo, tipo il Sermone della Montagna, devono essere praticati.

  • La convinzione che l'uomo è capace di sviluppare la volontà di seguire Cristo e così ottenere la salvezza.

  • L'opposizione al misticismo, che richieda qualche speciale illuminazione per conoscere la verità religiosa.

  • La convinzione che la ragione dell'uomo è sufficiente per capire e interpretare le Scritture.

  • La posizione empirica che tutte le nostre conoscenze derivano dall'esperienza dei sensi.

Il pensiero razionale di S. accettava un solo Dio, mentre Gesù Cristo era semplicemente un uomo crocefisso, il cui compito era di rivelare Dio agli uomini, permettendo loro di raggiungere così la salvezza, seguendo il Suo esempio. Per lui la Sacra Scrittura, redatta da uomini, non era indenne da errori, e l'uomo doveva basarsi sulla propria etica per osservare i comandamenti e non era quindi necessaria la grazia divina. Egli, inoltre, negava l'esistenza dell'inferno, il peccato originale, la necessità dei sacramenti, la predestinazione, e, rispetto ai Fratelli Polacchi, rifiutava il secondo battesimo.

La fine del socinianesimo in Polonia

Pochi anni dopo, nel 1610, sotto il regno di Sigismondo Augusto III (1587-1632), la potente organizzazione gesuita sbarcò in Polonia decretando il rapido declino degli antitrinitariani (o unitariani) in Polonia: il 6 novembre 1611 fu bruciato sul rogo a Varsavia l'unitariano Jan Tyskiewicz, un agiato cittadino di Bielsk, per essersi rifiutato di giurare sulla Trinità e nel 1638 fu chiuso il seminario di Raków.

Il colpo finale per l'unitarismo in Polonia arrivò, durante il regno di Giovanni Casimiro (1648-1668), con il bando d'espulsione per tutti gli unitariani polacchi, deciso nel 1658 e diventato esecutivo il 10 luglio 1660, che li costrinse o ad uniformarsi al cattolicesimo o ad emigrare in altri paesi europei (in Olanda, dove la maggior parte si trasferì aderendo alla Chiesa Arminiana dei rimostranti, in Germania, e in Transilvania, dove però essi non aderirono alla Chiesa Unitariana Transilvana, ma formarono una chiesa autonoma a Kolozsvàr estinguendosi nel 1793). Nel 1668 fu introdotta la legge, che prevedeva la pena di morte per i cattolici battezzati, che si fossero convertiti al protestantesimo.

L'ultima sacca di resistenza unitariana in Polonia si estinse nel 1811 e solo nel 1921 furono riaccettate le congregazioni unitariane nella nazione, rinata dopo secoli di dominazione straniera. Ma la successiva occupazione nazista nel 1939 e l'instaurazione del comunismo hanno fatto sì che l'unitarianismo polacco potesse incominciare a muovere nuovamente qualche timido passo solamente dopo la caduta del muro di Berlino, negli anni '90 del XX secolo. L'attuale Chiesa unitariana in Polonia comprende solo qualche centinaio di fedeli.

Per lo sviluppo del socinianesimo in altri paesi, vedi unitarianismo.