Alciati della Motta, Giovanni Paolo (ca.1515-1573)

Giovanni Paolo Alciati della Motta, medico e nobile piemontese (nacque a Savigliano, in provincia di Cuneo, nel 1515 circa) e amico fraterno di Giorgio Biandrata, fu tra i partecipanti nel 1550 al concilio di Venezia, dove si riunirono i principali anabattisti e antitrinitariani italiani. Probabilmente questa non fu la prima riunione riformata, alla quale A. aveva partecipato, poiché s'ipotizza la sua presenza ai Collegia Vicentina del 1546, le riunioni antitrinitarie, che la tradizione dice ispirate da Lelio Sozzini.

Si racconta che A. avesse intrapreso, tra l'altro, la carriera militare, ma che successivamente fosse fuggito esule in Svizzera, dapprima nel Cantone Grigioni con Biandrata e Camillo Renato e dove mantenne un rapporto epistolare con Aonio Paleario, ed in seguito a Ginevra.

Nonostante ricevesse la cittadinanza ginevrina nel 1555, A., assieme al calabrese Giovanni Valentino Gentile e al Biandrata, entrò in viva polemica nel 1558 con Calvino, contestando la sua autorità, soprattutto dopo la condanna al rogo di Michele Serveto. La sua polemica contro il riformatore ginevrino si approfondì nel dibattito teologico sulla Santa Trinità: con una notevole irruenza (e mancanza di tatto) A. affermò che Calvino adorasse nella Trinità tre demoni, peggiori degli idoli adorati dal Cattolicesimo! Inoltre egli era convinto, diversamente dagli altri due riformati italiani asserragliati su posizioni triteiste, che Gesù Cristo non fosse preesistito alla nascita di Maria, come avrebbe precisato in una successiva lettera a Gregor Pauli.

Calvino decise quindi di testare la "tenuta" ideologica della riottosa comunità italiana in esilio a Ginevra, facendola convocare il 18 maggio 1558, alla sua presenza, davanti al concistoro della Chiesa italiana per approvare la confessione di fede, redatta da Calvino stesso e dal pastore Lattanzio Ragnoni.  Sette riformati italiani, tra cui A. (che si lasciò andare alle solite violente intemperanze verbali), Biandrata e Silvestro Teglio [un altro seguace di Biandrata e traduttore in latino del principe di Niccolò Machiavelli (1469-1527)] non accettarono e furono espulsi da Ginevra "per essersi sollevati contro la Santa Riformazione".

A. dapprima si rifugiò a Chiavenna, raggiungendo, assieme a Gentile, l'amico Biandrata nel 1562 in Polonia, a Pinczòw, dove si stava formando un gruppo di antitrinitari italiani, tra cui un altro suo amico, Prospero Provana.

Ma il gruppo venne poi disperso due anni dopo, nell'agosto 1564, in seguito all'editto di Parczòw, emanato dal re Sigismondo II Iagellone, detto Augusto (re di Polonia: 1548-1572), sotto la pressione del nunzio apostolico di Cracovia, cardinale Giovanni Francesco Commendone (1523-1584).

A. riparò allora in Moravia, presso Niccolò Paruta, ad Austerlitz, dove tornò dopo un viaggio in Transilvania per visitare Biandrata. Infine, grazie al progressivo miglioramento della situazione degli antitrinitariani in Polonia, egli poté ritornare dapprima a Cracovia ed infine a Danzica, dove morì nel 1573.