Lefèbvre, arcivescovo Marcel François (1905-1991) e la Fraternità Sacerdotale San Pio X

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Marcel François Lefèbvre

I primi anni

L’arcivescovo francese Marcel François Lefèbvre, protagonista del più clamoroso caso di scisma nella Chiesa Cattolica post Concilio Vaticano II, nacque il 29 novembre 1905 a Tourcoing, un paese nella regione del Nord-Passo di Calais, da una famiglia piccolo-borghese molto pia, che nel passato aveva dato diversi religiosi alla Chiesa, tra i quali un cardinale, alcuni vescovi ed il liturgista benedettino Gaspar Lefèbvre (1880-1966). Oltre al futuro arcivescovo, altri quattro degli otto figli della famiglia L. divennero sacerdoti o suore.
Dopo la decisione di diventare prete, L. dal 1923 al 1930 frequentò il Seminario Francese a Roma, seguendo i corsi presso la Pontificia Università Gregoriana e laureandosi in teologia e filosofia. Il 21 settembre 1929 egli fu ordinato sacerdote.

In Africa

Dopo un breve periodo come vice-parroco in un quartiere operaio di Lille, nel 1931 L. decise di entrare nell’ordine dei Padri dello Spirito Santo [l’ordine fondato nel 1703 da Claude Francois Poullart des Places (1679-1709)], una congregazione missionaria, che operava nell’Africa coloniale francese. E proprio in questa parte dell’Africa, più precisamente a Libreville nel Gabon, L. fu inviato nell’ottobre 1932 per essere nominato professore di Dogma e di Sacra Scrittura al locale Gran Seminario, di cui assunse la direzione nel 1934. Vi rimase fino al 1945, quando fu richiamato in Francia per assumere la direzione del seminario dei Padri dello Spirito Santo (chiamati spiritani) a Mortain, ma ritornò nell’Africa coloniale francese, dopo essere stato consacrato vescovo e nominato vicario apostolico del Senegal nel settembre 1947. Nel 1948 (e fino al 1959) la sua responsabilità come delegato apostolico si estese a tutta l’Africa francofona.
Nel 1955 L. divenne il primo arcivescovo della nuova diocesi di Dakar, in Senegal, titolo che mantenne fino al 1962, anno in cui diede le dimissioni, richieste dal Vaticano e verosimilmente presentate per protesta contro la dichiarazione d’indipendenza (di cui L. era fiero oppositore) del Senegal dalla Francia.

Il Concilio Vaticano Secondo (1962-1965)

Ritornato in Francia, per un breve periodo, L. s’accontentò di gestire la piccola diocesi di Tulle, ma, nello stesso tempo fu nominato Superiore Generale dei Padri dello Spirito Santo, mantenendo la posizione fino al 1968. Proprio grazie a questo suo titolo, L. partecipò al Concilio Vaticano Secondo (1962-1965), oltre a far parte della Commissione preparatoria su nomina diretto da parte di Papa Giovanni XXIII (1958-1963).
Al Concilio L. fece parte del gruppo conservatore Coetus Internationalis Patrum, contraria a quella spinta progressista che caratterizzò le discussioni dell’assemblea. Questo gruppo, di minoranza nel Concilio ma, in ogni caso, forte di circa 250 padri conciliari, era coordinata dall’arcivescovo di Diamantina (in Brasile) Geraldo de Proença Sigaud (1909-1999), legato in patria al movimento ultraconservatore Tradição Familia Propiedade, mentre altri prelati di spicco erano il vescovo di Segni Luigi Maria Carli (1914-1986), l’arcivescovo di Saragozza (poi di Madrid) Casimiro Morcillo (1904-1971) e il vescovo di Campos (in Brasile) Antonio de Castro Mayer (1904-1991), oltre, naturalmente a L., molto vicino all’ambiente religioso francese conservatore, impregnato di quell’ultramontanismo (la posizione dei cattolici che rimarcava l'importanza dell'autorità centrale del Papa come superiore a quella delle gerarchie ecclesiastiche locali), da sempre in contrasto in Francia con posizioni come il gallicanesimo, il giuseppinismo o il febronianismo.

Il Coetus godeva inoltre dell’appoggio esterno di cardinali e vescovi conservatori, come l’arcivescovo di Manila Rufino Jiao Santos (1908-1973), l’arcivescovo di Palermo Ernesto Ruffini (1898-1967), l’arcivescovo di Genova Giuseppe Siri (1906-1989), il cardinale e prefetto della Congregazione per le cause di santificazione Arcadio Maria Larraona Saralegui (1887-1973), il pro-prefetto del Sant’Uffizio Alfredo Ottaviani (1890-1979), il cardinale e arcivescovo di Idebesso (in Turchia) Michael Browne (1889-1971), e perfino di politici italiani come Giulio Andreotti.
Il gruppo lottava contro la collegialità episcopale, l’ecumenismo, la libertà religiosa (tacciata di relativismo religioso), l’apertura verso l’ebraismo, l’uso delle lingue nazionali nella liturgia, la comunione sub utraque specie (celebrata cioè sia con il pane sia con il vino, proposta che era costata il rogo a Jan Hus durante il Concilio di Costanza del 1415), la concelebrazione della messa, l’aumento del ruolo e dell’autonomia dei laici (per esempio il gruppo pensava che il diaconato non potesse essere attribuito a uomini sposati), il modernismo (secondo il Coetus ancora presente nella Chiesa) ed era favorevole ad un’esplicita condanna del comunismo, ad una maggiore importanza data al ruolo della Vergine Maria e dei santi, all’esaltazione del ruolo chiave della Tradizione cattolica (inclusa l’ermeneutica dei Padri della Chiesa) in contrasto al prevalere (d’ispirazione protestante) delle Sacre Scritture.
L. rappresentò l’ala più intransigente del Coetus: votò, infatti, contro le encicliche Dignitatis Humanae e Gaudium et Spes (salvo poi firmare il documento finale del Concilio), ma, poiché la sua congregazione - i Padri dello Spirito Santo - aveva accettato di aggiornarsi secondo le indicazioni del Concilio, L. si dimise da superiore nel 1968 e fondò il 7 ottobre 1970 la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), con annesso seminario, ad Ecône (nel cantone Vallese, in Svizzera).

Il contrasto con la Santa Sede fino alla scomunica

Fin dai primi anni, il seminario di Ecône fu boicottato dall’establishment ecclesiastico francese: nel 1972 i vescovi d’oltralpe lo definirono "seminario selvaggio" e cercarono di farlo chiudere. Nel 1974 il seminario ricevette una visita apostolica di Monsignor Albert Descamps (1916-1980), segretario della Pontificia Commissione Biblica e rettore dell’università di Lovanio (in Belgio), coadiuvato da Monsignor Guillaume Onclin: i due prelati notarono la formazione pre-conciliare dei futuri sacerdoti e l’anno seguente una commissione cardinalizia ingiunse a L. di sospendere le ordinazioni sacerdotali.
Nel frattempo la FSSPX fu il terreno di scontro tra L. e la Santa Sede sulla nuova liturgia (uso di lingue nazionali, sacerdote rivolto verso i fedeli, possibilità di concelebrazioni, comunione sub utraque specie), che l’arcivescovo rifiutava in toto, preferendo ancora la forma canonica di Papa S. Pio V (1566-1572). Si dice, che quando a Papa Paolo VI (1963-1978) fu chiesto di autorizzare la Fraternità ad utilizzare la liturgia di Pio V, il pontefice avesse risposto: "No, se noi accordiamo la Messa di S. Pio V alla Fraternità Sacerdotale S. Pio X, tutto ciò che abbiamo conseguito col Concilio Vaticano II sarà rovinato".

Il casus belli avvenne il 29 giugno 1976, quando L. ordinò tredici sacerdoti: la reazione fu la sua sospensione a divinis il successivo 22 luglio, ma il prelato francese non ne tenne conto, anzi celebrò a Lille, il mese successivo, una messa secondo l’antica liturgia con la partecipazione di 10.000 fedeli.
Eppure, non si trattava ancora di scisma, ma solo di un caso di disubbidienza: il dialogo, a volte molto difficile, tra le parti continuò per anni, soprattutto durante il pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005), che ricevette L. in udienza privata nel novembre 1978. La controparte della Santa Sede fu il cardinale Joseph Ratzinger [poi Papa Benedetto XVI (2005-)], che nel 1988 fece un serio tentativo di reintegrare la Fraternità Sacerdotale San Pio X nella Chiesa Cattolica, firmando con L. (che nel 1983 aveva lasciato la guida della FSSPX) il 5 maggio dello stesso anno, un accordo comune, il quale prevedeva la possibilità per la Fraternità di continuare la celebrare la messa secondo l’antico rito, a patto di accettare l’autorità pontifica e di essere retti da un vescovo. Quest’ultimo punto, già dal giorno successivo all’accordo, aveva messo in crisi L., che temeva la nomina di un vescovo estraneo alla realtà della FSSPX e che quindi dichiarò la sua intenzione di consacrare, il 29 giugno successivo, tre sacerdoti come vescovi, uno dei quali era destinato a diventare il suo successore alla guida della FSSPX. L’atto, senza la formale accettazione di Roma, sarebbe stato considerato uno scisma, secondo i canoni 751, 1013 e 1382 del diritto canonico, quindi il 24 maggio Giovanni Paolo II concesse la possibilità a L. di consacrare un solo vescovo. Tuttavia l’arcivescovo francese rimase sulle sue posizioni, nonostante un ulteriore appello del Papa, il 9 giugno, di non procedere con lo scisma, e un’ammonizione ufficiale il 17 giugno.

La scomunica

Il 30 giugno 1988 L. consacrò, con l’ausilio del già nominato vescovo brasiliano Antonio de Castro Mayer, quattro (uno in più del previsto) vescovi [lo svizzero Bernard Fellay (n. 1958), il francese Bernard Tissier de Mallerais (n. 1945), l’inglese Richard Nelson Williamson (n. 1940) e lo spagnolo Alfonso de Galarreta (n. 1957)]: i sei vescovi incorsero automaticamente nella scomunica latae sententiae (sentenza già data). Per i neo-consacrati va detto che l’investitura, anche se illecita, era in ogni caso valida; così dicasi anche per i sacramenti (eccetto confessione e matrimonio) impartiti e le messe officiate dai sacerdoti lefebvriani.
Il 1 luglio il decreto Dominus Marcellus Lefebvre, emesso della Congregazione per i vescovi, prese atto dello scisma e il 2 luglio Giovanni Paolo II, con la lettera apostolica motu proprio Ecclesia Dei Adflicta, espresse il proprio rammarico per la vicenda, ma nel contempo istituì una commissione, denominata proprio Ecclesia Dei, per favorire il rientro nella Chiesa Cattolica, nel rispetto della loro liturgia antica, dei sacerdoti lefebvriani. Questa mossa ha permesso un flusso costante di preti e fedeli della FSSPX verso la Santa Sede, al quale si è aggiunto una defezione di un gruppo di sacerdoti, che ha lasciato L. per divergenze teologiche, fondando l’Istituto Mater Boni Consilii, di orientamento sedevacantista.
Il 25 maggio 1991 morì L., gravemente affetto da cancro, e i funerali, a riprova di come la scomunica era considerata in alcuni ambienti cattolici, furono seguiti da diversi alti prelati della Chiesa Cattolica.

La FSSPX oggigiorno

La Fraternità Sacerdotale San Pio X (il cui sito italiano è http://www.sanpiox.it) comprende oggi 6 seminari, 130 priorati in 26 paesi del mondo, oltre 450 sacerdoti, 170 seminaristi, circa 60 frati e 200 suore. Circa il numero di fedeli, le varie fonti riportano dati oscillanti tra le 150.000 e il milione di persone, per non parlar dei simpatizzanti. L’attuale superiore generale della FSSPX è il vescovo svizzero di lingua francese Bernard Fellay. In Italia la FSSPX è presente con tre priorati [Abano Laziale (Roma), Montalenghe (Torino) e Spadarolo (Rimini)], due istituti di suore [Narni (Terni) e Velletri (Roma)] e 16 località, disseminate sul territorio, dove viene celebrata la messa tradizionale.
Nel 2000 la FSSPX è stata autorizzata a mandare a Roma un proprio gruppo di pellegrini, e, in quell’occasione, diversi preti lefebvriani hanno impartito il battesimo nelle basiliche vaticane.

Il 29 agosto 2005 monsignor Fellay (che rappresenta l’ala più possibilista ad una riconciliazione con la Chiesa Cattolica), accompagnato da padre Franz Schmidberger (n. 1946), ha avuto un incontro con Papa Benedetto XVI, che "si è svolto in un clima di amore per la Chiesa e di desiderio di arrivare alla perfetta comunione", ma che non ha portato a risultati immediatamente tangibili, anche se, più recentemente, sono ricorrenti le voci che vedono Benedetto XVI sempre più determinato a ricomporre questo scisma. Infatti nel febbraio 2007 il Papa ha nominato il cardinale colombiano Dario Castrillòn Hoyos (n. 1929) presidente della Commissione Ecclesia Dei: il cardinale ha avuto parole di elogio per l’opera di L., pur stigmatizzando la consacrazione di vescovi senza l’autorizzazione papale, e ha anticipato la prossima pubblicazione di un motu proprio (che è stato pubblicato il 7 luglio 2007 con il titolo Summorum Pontificum) di Benedetto XVI, che liberalizzerà la celebrazione della messa in latino secondo il rito di San Pio V, uno dei punti (ma non l’unico) più controversi nel confronto tra Chiesa Cattolica e FSSPX.

Il 21 gennaio 2009, infine, mediante decreto della Congregazione per i Vescovi, Benedetto XVI ha rimesso la scomunica contro i quattro vescovi lefebvriani (Fellay, Tissier de Mallerais, Williamson e de Galarreta), in attesa “che si giunga al più presto alla completa riconciliazione e alla piena comunione”. Purtroppo il gesto è stato offuscato dalle polemiche sulle dichiarazioni negazioniste sull’Olocausto degli ebrei, e sulle camere a gas, da parte del vescovo Richard Williamson, che nel febbraio 2009 ha pubblicamente chiesto scusa per le sue affermazioni.