Rastafariani (dal 1930)

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L’imperatore Hailè Selassie, considerato il messia dai rastafariani

Introduzione

Vari sono i fattori storici da considerare che hanno contribuito alla nascita del movimento rastafariano, come:

  • La particolare situazione politico-religiosa della Giamaica e di alcune isole caraibiche, dove alcuni pastori religiosi avevano sviluppato una predicazione basata sul riscatto della razza nera, come:
    • Alexander Bedward (che però pensava di essere lui la reincarnazione di Gesù),

    • Fitz Balintine Pettersburg, un predicatore giamaicano che aveva scritto negli anni ’20 (probabilmente nel 1926), The Royal Parchment Scroll of Black Supremacy (Il rotolo di pergamena reale della supremazia nera), un testo surreale contro il potere coloniale bianco ed un palinsesto del pensiero africano, pieno di livore ed energia,
    • Robert Athlyi Rogers (m. 1931), un pastore originario dell’isola di Anguilla e autore di The Holy Piby, una Bibbia per l’uomo nero, scritta tra il 1924 ed il 1928 in quattro libri, il secondo dei quali identificava il noto predicatore ed attivista politico giamaicano Marcus Mosiah Garvey, assieme ad altri due membri dell’UNIA-ACL, e cioè Robert Lincoln Poston (1890-1924) e Henrietta Vinton Davis (1860-1941), come i tre apostoli di Dio, che, in un’altra parte del libro, sono descritti come i savi dei “figli calpestati d’Etiopia”. The Holy Piby ebbe una larga influenza sulle credenze rastafariane, di cui molti testi sono stati scritti originariamente da Rogers. Quest’ultimo aveva anche fondato negli anni ’20 una sua chiesa, l’Afro Athlican Constructive Church (Chiesa costruttiva afro athlicana), la cui teologia identificava gli etiopici (o in senso più traslato gli africani neri) come il popolo prescelto da Dio e considerava Elia come l’incarnazione divina più importante, accanto a cui se ne erano manifestate altre, fra le quali Gesù Cristo.

  • Il progetto “Ritorno in Africa” e l’”etiopismo” di Marcus Mosiah Garvey: il leader dell’UNIA-ACL (Universal Negro Improvement Association = Associazione universale per il miglioramento dei neri, ed African Communities League = Lega delle comunità africane) era convinto della necessità di lanciare il progetto “Ritorno in Africa”, con cui Garvey chiedeva ai neri d’America di ritornare alla propria patria d’origine (un po’ come stava facendo il movimento sionista con il ritorno degli ebrei in Palestina). Dopo aver identificata la Liberia come paese dove invogliare i neri americani a trasferire residenza ed attività, ma ricevendone un rifiuto da parte del governo liberiano, anche Garvey arrivò a concentrare la propria attenzione sull’Etiopia, unico stato africano non sottoposto al colonialismo bianco (l’occupazione italiana sarebbe avvenuta nel 1935-1936). Il suo “etiopismo” includeva l’ammirazione per l’antica civiltà etiopica così come il suo ruolo nella Bibbia: il paese africano divenne così un sinonimo di Sion. In un suo discorso politico religioso, l’attivista giamaicano ebbe a dire: “I bianchi hanno visto il loro Dio attraverso gli occhiali bianchi, noi solo ora incominciamo a vedere il nostro Dio attraverso i nostri occhiali… Noi Neri crediamo in un Dio dell’Etiopia, il Dio perenne… Questo è il Dio in cui crediamo, ma noi Lo adoreremo attraverso gli occhiali dell’Etiopia”.
  • La crisi economica derivata dalla Grande Depressione del 1929, quando circa 20.000 giamaicani dovettero ritornare a casa, avendo perso il lavoro a Cuba e Panama, con una generale situazione di povertà, frustrazione, scontentezza e con un’insopprimibile voglia di riscatto e di orgoglio razziale.
  • L’influenza di circoli esoterici: come ha recentemente rilevato il teologo protestante William David Spencer, due importanti seguaci di Garvey, H. Archibald Dunkley e Joseph Nathaniel Hibbert, erano membri di un’organizzazione esoterica chiamata Grande Fraternità Antica del Silenzio, o Antico e Mistico Ordine dell’Etiopia, facente parte della Prince Hall (l’organizzazione massonica riservata agli afro-americani), da cui, secondo Spencer, il movimento rastafariano ha preso diversi elementi rituali e dottrinali. In tempi più recenti anche i rosacrociani dell’AMORC avranno una certa influenza sul pensiero del movimento.

  • Un certo anticattolicesimo derivato dal background religioso dei precursori rastafariani, solitamente provenienti da famiglie protestanti fondamentaliste o avventiste, con l’eccezione di Garvey, un ex metodista che si convertì al cattolicesimo. Questo anticattolicesimo si alimentò con l’avvallo di Papa Pio XI (1922-1939) all’invasione italiana dell’Etiopia (un vero sacrilegio per i rasta) nel 1935.

La fondazione del movimento rastafariano

Tra i discorsi di Garvey, quello più profetico fu quando l’attivista giamaicano dichiarò: “Guardate all’Africa, quando un Re nero sarà incoronato il giorno della redenzione sarà vicino!”. Questa frase ritornò di prepotente attualità quando, il 2 novembre 1930, il Negus etiopico Ras Tafari Makonnen (1892-1975) si fece incoronare proprio Imperatore d’Etiopia con il nome di Hailé Sélassié I: due famosi periodici (Time e National Geographic Magazine) gli dedicarono articoli specifici e Time lo elesse Persona dell’Anno 1935, con una copertina dedicata all’imperatore nero. Oltre a ciò, Hailé Sélassié poteva vantare una diretta discendenza da Menelik, che, secondo la tradizione etiopica descritta nell’epopea nazionale Kebra Negast, era il figlio di Re Salomone e della Regina di Saba, e perciò il neo-imperatore poteva fregiarsi di titoli come Re dei Re, Eletto di Dio, Signore dei Signori, Leone conquistatore della Tribù di Giuda.

Alcuni dei seguaci di Garvey, come Leonard Percival Howell (1898-1981), e i già menzionati Hibbert e Dunkley, videro la realizzazione della profezia di Garvey: l’imperatore era il messia, l’incarnazione di Dio stesso vivente sulla terra, o Jah (una forma abbreviata di Jehovah, e riportata nei salmi 68,4 secondo la versione anglicana della Bibbia, detta di Re Giacomo).
Da qui prese avvio, dal nome dello stesso Hailé Sélassié prima dell’incoronazione (Ras Tafari), il Movimento Rastafariano (o Rastafari, o infine più semplicemente Rasta), la religione – o meglio l’ideologia - che considera Garvey il proprio precursore, o addirittura una reincarnazione di San Giovanni Battista.

Benché si tenda solitamente a pensare al Rastafarianismo come un movimento spontaneo, indubbiamente l’influenza di Howell, Hibbert e Dunkley (sebbene in maniera del tutto indipendente l’uno dall’altro) nella “fondazione” del gruppo fu rilevante. Per esempio, il primo testo rastafari apparso è stato The Promised Key (La chiave promessa), scritto proprio da Leonard Howell nel 1934-36 e pubblicato sotto lo pseudonimo di Gangun Guru Maragh (vale a dire Maestro di nota saggezza). Il libro prende ispirazione dal The Royal Parchment Scroll of Black Supremacy  del già menzionato Fitz Balintine Pettersburg, sebbene non abbia la stessa energia di questo testo, tuttavia bisogna considerare le condizioni nelle quali Howell ebbe a scriverlo. Nel 1934, infatti, egli era stato imprigionato con l’accusa di sedizione, avendo giurato fedeltà a Hailé Sélassié, e non già a Re Giorgio V d’Inghilterra, sovrano della Giamaica, a quei tempi una colonia inglese. Liberato nel 1936, Howell fondò poi la comune Pinnacle (a St. Catherine), che arrivò a contenere 5.000 persone, prima di essere fatta chiudere dalle autorità giamaicane nel 1954.
Anche Dunkley fu imprigionato per gli stessi motivi e subì poi un periodo di internamento in un manicomio.

Gli anni ’50 e la visita di Hailé Sélassié nel 1966

Entro gli anni ’50, il movimento si era consolidato in Giamaica, creando non pochi grattacapi alle autorità locali, con frequenti scontri con la polizia, soprattutto nel 1958, quando migliaia di rasta cercarono di occupare la capitale Kingston nel nome di Hailé Sélassié, o l’anno successivo, quando si sparse la voce che l’imperatore stava mandando le sue navi per portare i rasta in Africa.

Dopo aver incontrato in Etiopia alcuni rappresentanti rasta, Hailé Sélassié decise di visitare la Giamaica il 21 aprile 1966: ad accoglierlo all’aeroporto di Kingston c’erano tra le 100 e 200 mila persone, che fumavano cannabis e suonavano tamburi nell’attesa. Si racconta che l’imperatore fu sorpreso (ed anche infastidito) di essere considerato Dio da queste persone, negò decisamente di esserlo, rifiutò di organizzare il trasporto in massa dei suoi “fedeli” in Etiopia (affermando che prima i leader rasta dovevano liberare il popolo giamaicano) ed, anzi, mandò in Giamaica, con la prospettiva di una conversione di massa, un certo numero di missionari della Chiesa d’Etiopia di religione monofisita copta, che si era da poco (nel 1948) affrancata dalla Chiesa Copta egiziana, proprio per iniziativa di Hailé Sélassié, il quale l’aveva fatto diventare Chiesa di Stato nel 1955.
I missionari non ottennero il successo sperato, eccetto la creazione di gruppi rasta cristiani come le Dodici Tribù d’Israele, alle quali aderì Bob Marley. Per i presenti fu comunque un momento memorabile: per esempio, Rita Marley, moglie di Bob Marley, si convertì sull’istante alla fede rasta, dopo aver visto Hailé Sélassié, sulle cui mani le parve di vedere perfino le stimmate. La data della visita, il 21 aprile, è diventata in seguito per il movimento rastafariano un giorno di festa, chiamata Grounation Day.

Il tentativo di conversione non rimase, comunque, un caso isolato, anzi i dirigenti etiopi, mentre cercavano di incanalare il movimento rastafariano nell’EWF (Ethiopian World Federation = Federazione mondiale etiope), fondata nel 1937, chiesero agli aderenti di convertirsi alla Chiesa d'Etiopia, ma la divinità di Hailé Sélassié – il punto fermo della dottrina rasta - contrastava con le credenze copte.
Nove anni dopo la visita a Giamaica, la notizia della morte di Hailé Sélassié nel 1975 fu rifiutata dai rastafari, che non volevano credere alla morte dell’imperatore e pensavano che fossero menzogne diffuse dalla stampa dei bianchi. Perfino oggi alcuni rastafari attendono la resurrezione o riapparizione fisica del Dio incarnato.

L’ideologia rastafariana

I punti chiave del pensiero rasta sono:

  • Il rimpatrio in Africa, o forse meglio, l’afrocentrismo: l’Africa (ma questo concetto geografico è spesso confuso con quello di Etiopia) è vista come Sion o nuova Gerusalemme. La Bibbia stessa andrebbe riscritta, poiché i neri sono i salvati, mentre la società moderna bianca è la corrotta Babilonia, da cui bisogna uscire fisicamente, altrimenti in senso spirituale. Poiché spesso non è possibile andare materialmente in Africa, i rasta si pongono spiritualmente vicini ad essa mediante la meditazione e l’uso cerimoniale della ganja (vedi sotto).
  • L’uso della ganja (o gangia, vale a dire la marijuana o cannabis), un vero “sacramento” che contribuisce alla scoperta dell’”Io ed Io” (vedi più avanti), la più autentica forma di Jah. Viene bruciato come incenso o fumato nella vita quotidiana o durante le cerimonie [il reasoning (ragionamento), una riunione informale per discutere e fumare, e il grounation o binghi, una cerimonia religiosa, dove si fa festa ballando, cantando e fumando], e tutto ciò in barba ai severi divieti in vigore nella maggior parte dei paesi, Giamaica compresa (e questo non aiuta certo la loro immagine). Secondo i rasta, il suo uso è legittimato da diversi passi della Bibbia, tra cui il seguente brano della Genesi (1,29) Poi Dio disse: "Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo”. Per loro, la ganja è un elemento che rinforza corpo e anima, e viene perfino dato ai neonati, sotto forma di tè.
  • La superiorità della razza nera, anche se, dopo la condanna pronunciata proprio da Hailé Sélassié davanti all’assemblea delle Nazioni Unite di tutte le forme di razzismo, quest’animosità razziale è stata sfumata a favore di una forma d’armonia razziale mondiale.
  • L’accettazione di Hailé Sélassié come la quarta incarnazione di Dio stesso vivente sulla terra (le altre tre erano Mosé, Elia e Gesù, che per i rasta erano di etnia africana, quindi nera), sebbene oggi egli sia “disincarnato” o nascosto.
  • Il riconoscimento di Jah Rasta, lo spirito che tutti gli uomini possiedono: siamo sostanzialmente tutti la stessa persona, perché tutti siamo Dio o parte di Dio.
  • L’immortalità fisica: molti rasta credono nell’immortalità fisica degli eletti. Un esempio significativo fu quello di Bob Marley: oramai nella fase terminale del cancro metastatico che lo avrebbe ucciso, egli si rifiutò di stillare il suo testamento, perché era come ammettere ad attenderlo c’era la morte e non la vita perenne.
  • I legami storici con i figli d’Israele: essi ritengono di essere la reincarnazione nera delle tribù perdute d’Israele e che la loro redenzione avverrà nel momento in cui potranno rimpatriare in Africa. Molti rasta, come gli ebrei, seguono inoltre i dettami alimentari del Vecchio Testamento, e non consumano carne di maiale e molluschi, mente altri si spingono oltre e osservano una dieta vegetariana (mangiando però il pesce), oppure vegana, non consumando nulla d’origine animale (certe volte neanche il miele). Anche la caratteristica acconciatura in treccine, i dreadlocks (che però hanno un po’ perso il significato di appartenenza, diventando un simbolo di un generico orgoglio nero – anche senza aderire ai principi rasta – o, più banalmente, una moda), ha un’origine vetero-testamentale, e vengono spesso citati il Levitico 21,5 (“I sacerdoti non si faranno tonsure sul capo, né si raderanno ai lati la barba né si faranno incisioni nella carne”) e i Numeri 6,5 (“Per tutto il tempo del suo voto di nazireato il rasoio non passerà sul suo capo; finché non siano compiuti i giorni per i quali si è consacrato al Signore, sarà santo; si lascerà crescere la capigliatura”) a rinforzo della loro decisione di non tagliare, pettinare o spazzolare mai i capelli. Secondo alcuni autori quest’usanza è nata ad imitazione dei guerrieri masai del Kenya, ma per altri si diffuse in seguito alla circolazione delle immagini dei temibili guerriglieri mau-mau (che portavano simili acconciature), in lotta per l’indipendenza del Kenya negli anni ’40. Solitamente essi raccolgono i loro capelli in grossi berretti di lana tessuti con i colori della bandiera giamaicana: verde, giallo-oro, rosso e nero, ai quali danno un grande valore simbolico.
  • Non rivestono invece particolare importanza né la preghiera (trascurabile se accettiamo il fatto di essere tutti Dio) né l’organizzazione ecclesiastica.

La maniera particolare di esprimersi

Uno dei tratti più caratteristici dell’essere rastafari è la modifica del linguaggio, sia come forma di protesta contro la corrotta “Babilonia” (il mondo dominante dei bianchi), sia come adesione ai propri principi religiosi. Oltre ad introdurre neologismi totalmente nuovi, i rasta, parlando di se stessi, usano l’espressione "I and I” (Io ed Io) per esprimere un loro panteismo, vale a dire la Divinità ovunque presente e, soprattutto, nello stesso individuo. “I” sostituisce tutti i pronomi come “me”, “tu”, “noi”, e spesso le prime lettere di alcune parole, come, per esempio, “vital” (vitale) diventa "Ital", "ever" (sempre) diventa "Iver", "Ethiopia" (Etiopia) diventa "Ithiopia", "creation" (creazione) diventa "Ireation".

La musica rasta e quella reggae

Un’altra caratteristica notissima del movimento rastafariano è la musica, in particolare quella reggae. Quest’ultima deriva dalla musica rastafariana più propriamente detta, di cui la forma più pura è la cosiddetta musica Nyabinghi (il nome deriva da un movimento anticolonialista dell’Africa Orientale, attivo fra il 1850 ed il 1950), caratterizzata da uso di tamburi, canti e danze, intervallato da preghiere e uso di ganja.

Il reggae nacque nel ghetto di Trenchtown, la parte più povera di Kingston, ed è musicalmente una sintesi della musica tradizionale giamaicana e di quella rasta con motivi R&B, jazz e soul, ma è soprattutto l’espressione del risentimento sociale dei neri contro i bianchi, dell’orgoglio razziale e dell’amore per le proprie radici africane. La musica reggae è diventata negli anni ’70 famosa in tutto il mondo grazie ad un gruppo di musicisti giamaicani, tra i quali i più noti sono Bob Marley (1945-1981) e Peter Tosh.

Il movimento rastafariano oggigiorno

Oggi il movimento si è diffuso a scala mondiale, non soltanto fra gli afro-americani, ma anche fra i maori della Nuova Zelanda, gli indonesiani, gli aborigeni australiani, gli indiani d’America (in Stati Uniti e Canada), tra gli immigrati del Surinam in Olanda (tra cui spicca l’ex calciatore Ruud Gullit), ed in generale tra gli immigrati di colore in Inghilterra, Francia, ed anche Italia, e perfino fra i giovani russi e ucraini (chiamati Rastamany) dopo la caduta del muro di Berlino.

Si calcola che tra 700.000 ed 1.000.000 di persone vi aderisce, anche se si tratta di un movimento spontaneo assolutamente non coordinato e quindi di difficile quantificazione. Infatti si possono identificare molte correnti rasta con peculiarità molto diverse tra loro, sia per credo religioso (copti ortodossi, altri cristiani, gnostici, israeliti) che per abitudini di vita. Nel variegato panorama dei gruppi rasta si segnalano: